Videogiochi: La sottile linea rossa tra intelligenza e asocialità
ROMA – Sempre più persone passano del tempo giocando ai videogames. In Italia, secondo un’inchiesta del Corriere della Sera, i gamers sono 24 milioni di cui il 61% uomini e 39% donne. Il massiccio sviluppo di videogames, sempre più realistici e giocabili e il tempo che molti passano a giocarci, ha riaperto un dibattito già vissuto agli inizi degli anni ’80 e ’90 quando si ebbe il primo boom del settore.
I videogames fanno bene o male? Premesso che l’abuso, come ogni cosa, non va mai bene, vi è una linea sottile che separa gli intolleranti del genere ai favorevoli. Questa linea si può racchiudere in due termini, “asocialità” e “apprendimento”. I “nemici” dei videogiochi affermano che passare del tempo davanti alla tastiera, induce i gamers ad estraniarsi dalla realtà, perdendo contatto con essa e mettendo a rischio i rapporti sociali e la propria salute mentale, dato che non vi è più discernimento tra cosa è vero e cosa non lo è.
Un recente studio dell’Università di Rochester ha, però, dimostrato che i videogiochi migliorano le capacità di apprendimento dei gamers e, anzi, li rende più reattivi verso le novità. Soffermiamoci su quest’ultimo aspetto.
Le case programmatrici di videogames, hanno reso questi ultimi sempre più realistici e complicati. Soprattutto i giochi di strategia, hanno raggiunto un grado di elaborazione tale che, un gamer, per arrivare a finire il gioco, deve mettere alla prova tutte le sue abilità. Inoltre, la modalità multiplayer, permette di confrontarsi con più persone, affinando non solo le capacità strategiche del singolo individuo, ma anche le sue doti di collaborazione in un team. C’è poi un altro aspetto da sottolineare: giocare ai videogiochi affina i sensi dei gamers. Trovare indizi, scorciatoie, riflettere velocemente se fare una scelta, invece che un’altra, implica un grado di reattività sensoriale che, in situazioni normali, non verrebbero sollecitate.
I giochi di ruolo come “League of Angels” o il celeberrimo “Age of Empires” hanno avuto fortuna perché al loro interno prevedono molteplici situazioni di gioco che stimolano le capacità intellettive dei gamers. Come ha dichiarato il professor Jeffrey Anderson, docente di neuroradiologica presso la University of Utah School of Medicine: “connessioni neurali così sviluppate aiutano a concentrarsi e cogliere alcune informazioni importanti in un ambiente molto vasto. Questi cambiamenti, essenzialmente, possono aiutare qualcuno a pensare con più efficacia“.
Viene quindi a cadere uno dei capisaldi dei nostri genitori. Chi, infatti, non si è mai sentito dire: “Non ti rincitrullire di fronte ai videogiochi?” Oggi, la scienza ci dice l’esatto opposto. Forse siamo più intelligenti, proprio grazie a quei videogiochi che tutti un tempo disprezzavano.