Legge truffa, italicum e rispetto della volontà degli elettori
Carmelo Raffa
Roma, 12 novembre 2014 – Per i nostri lettori non tanto anziani ricordiamo che nel 1953 il parlamento approvò una legge, composta da un singolo articolo che prevedeva l’attribuzione del 65% alla lista o gruppo di liste collegate che avesse conseguito il 50% più uno dei voti. La legge fu voluta dalla Democrazia Cristiana, partito che alle precedenti consultazioni del 1948 aveva sfiorato la maggioranza assoluta e dai partiti alleati che subito dopo effettuarono fra loro l’apparentamento con la stessa Democrazia Cristiana e cioè dal Partito Socialista Democratico Italiano, dal Partito Liberale Italiano, dal Partito repubblicano Italiano e da altre formazioni politiche a carattere regionale.
La reazione da parte degli oppositori sia di destra che di sinistra fu molto violenta anche con manifestazioni nelle piazze e si accusavano i democristiani di essere dei fascisti.
Il nuovo sistema cosiddetto “truffa” si dichiarò inefficace poiché i partiti della coalizione per pochi voti non raggiunsero il 50% più uno dei voti.
A distanza di circa 40 anni e precisamente dopo il referendum voluto da Mario Segni ed approvato dalla stragrande maggioranza ed elettrici ed elettori si abrogò il sistema proporzionale e le preferenze, per far posto ad un sistema maggioritario misto al proporzionale.
I legislatori prendevano atto della volontà popolare e conseguentemente mettevano da parte il sistema elettorale voluto dai costituzionalisti nel 1946.
Certamente la legge proposta da Sergio Mattarella, in seguito al referendum del 18 aprile 1993, presentava alcune lacune tra le quali evidenziamo che nei fatti non si è verificata la certezza di assicurare una maggioranza certa ai vincitori delle consultazioni tant’è che la prima volta che si applicò si è dovuto constatare che nessuna coalizione disponeva di una maggioranza al Senato.
Dopo altri referendum indetti ma inefficaci per il mancato raggiungimento del quorum nel 2005 veniva approvata la legge proposta dal Leghista Senatore Roberto Calderoli, meglio conosciuta come legge “porcellum”.
Come si è notato la legge attribuisce per la Camera un forte premio di maggioranza alla coalizione che ottiene anche un voto in più rispetto alla maggiore lista concorrente ed inoltre da la possibilità ai Capi Partito di far eleggere i propri beniamini o figliocci perché non prevede l’espressione di voti di preferenza.
La Corte Costituzionale, in merito alla cosiddetta legge porcellum, con la sentenza n. 1 del 2014 ha così risposto:
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 83, comma 1, n. 5, e comma 2, del d.P.R. 30 marzo 1957 n. 361 (Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati);
2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 17, commi 2 e 4, del decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533 (Testo unico delle leggi recanti norme per l’elezione del Senato della Repubblica);
3) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 4, comma 2, e 59 del d.P.R. n. 361 del 1957, nonché dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 533 del 1993, nella parte in cui non consentono all’elettore di esprimere una preferenza per i candidati.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2013.
Ed ora il parlamento sta affrontando la situazione ed assistiamo da parecchi mesi ad un dibattito sulla nuova legge da approvare che ci appare come una coperta stretta che viene tirata a secondo la convenienza.
Se fino a qualche giorno fa sembrava naufragare il “patto del Nazareno” stipulato tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi da ieri si denota il ritorno di un clima sereno tra Forza Italia ed il PD. Ciò è stato possibile dopo un chiaro e leale confronto tra il nuovo “Cavallo di Razza” Raffaele Fitto ed il capo indiscusso di Forza Italia Silvio Berlusconi.
La cosa che ci auguriamo è che venga approvata una nuova legge che non sia un porcellum due e che principalmente consenta agli elettori di scegliere i propri candidati da mandare nel futuro parlamento.