Cambia l’algoritmo meno spazio all’informazione su Facebook.
20/01/2018
In un mondo in cui alcuni miliardi di consumatori ogni giorno compiono scelte di acquisto di beni e servizi – che incidono pesantemente sulla qualità della loro vita – fortemente orientate da dinamiche commerciali, affaristiche e speculative le cui leve sono riposte in poche mani, è difficile pensare che quegli stessi consumatori, due miliardi dei quali utilizzano Facebook, possano essere consapevoli, cogliendone le ragioni, del profondo cambiamento che in questi giorni il più grande social network al mondo ha deciso di darsi poche settimane prima di entrare nel suo quindicesimo anno di vita.
Gli utenti avranno già notato una flessione del numero di post di associazioni, pagine sponsorizzate, organizzazioni e, soprattutto, siti di news; in Borsa la novità è stata accolta con una perdita secca del 4% del valore del titolo.
Che significa tutto ciò?
Significa che Mark Zuckerberg vuole che a muovere le acque di quel grande oceano globale da lui creato siano i privati, persone comuni, interessate a mostrare la foto del proprio cane o a raccontare la festa di compleanno e la gita in montagna o al mare. Meno spazio invece, con molte barriere in più, per gli articoli d’informazione, i contenuti prodotti da siti giornalistici, enti, organizzazioni.
Una prima spiegazione potrebbe essere una risposta alla battaglia degli editori e dei produttori professionali di contenuti che invocano il diritto d’autore e reclamano un riconoscimento economico. Se fosse così, quello assestato dal giovane miliardario sarebbe un colpo da maestro, giacché i primi a lamentarsi di questa svolta potrebbero essere proprio gli editori, gli stessi che prima si dolevano del contrario, privati di una parte dei ricavi pubblicitari generati proprio dal flusso di quelle notizie di cui il network prima era accusato di appropriarsi più o meno indebitamente.
La singolarità di questa situazione si deve anche al fatto che le tecnologie di ultima generazione hanno cambiato il mondo e continuano a farlo giorno dopo giorno ad una velocità enormemente superiore rispetto alla capacità dell’uomo, inteso come società e come istituzioni che la governano, di guidare e regolamentare i processi da esse prodotte.
Rispetto a questo scenario, gli individui – sempre più cittadini del mondo, ma in effetti sempre più cittadini soli – appaiono consumatori stupiti e smarriti, in larga parte inconsapevoli e sempre più poveri di quello spirito critico senza del quale difetta l’autodeterminazione.
Due miliardi di persone, protagoniste attive, anche diverse ore al giorno, di una grande agorà globale in cui, in apparenza, tutti comunicano con tutti, eppure tagliati fuori da ogni scelta, e perfino dalla possibilità di capire, che cosa possano veramente comunicare ai compagni d’avventura: un esercito di automi che, dopo ogni “esposizione” di ore a questo flusso magmatico, porta evidenti i segni sul proprio stato psicofisico.
Come sempre la logica alla base di tutto è il businnes. Che in questo caso si chiama tempo di presenza sul social. Più persone si collegano, e più lungo è il tempo in cui rimangono collegate, più cresce il guadagno chi sfrutta il loro, spesso ignaro e ingenuo, passatempo. La loro presenza è carne da audience, che qualcuno vende e qualcuno compra, per alzare il prezzo delle inserzioni pubblicitarie.
Evidentemente il nuovo algoritmo prescelto da Zuckerberg sa che a questo terzo di pianeta che vive su facebook piacciono di più le barzellette tra amici e le serate in discoteca che i temi politici o sociali e le notizie di cronaca.
E così quei due miliardi di persone saranno contente di potere seguire meglio il proprio istinto, e pazienza se questa libertà viene lasciata loro perché possano spendere di più, dentro Facebook, il tempo della loro vita e alimentare così il businnes dei pochissimi veri beneficiari di tanta sconvolgente modernità.