Vittoria. “Scoglitti tra passato e futuro”. La storia di un borgo e di un popolo marinaro.
Vittoria. 19 giugno 2023
Lidia Ferrigno è stata una docente di lettere per tanti decenni, sempre apprezzata per il suo modo di essere, la sua cultura e le sue opere letterarie, da quando ha lasciato la scuola, si dedica a tempo pieno di “narrare” la sua amata Scoglitti.
Paolo Monello, è uno storico tra i più apprezzati, scrittore e testimone, tramite la sua profonda conoscenza e la sua cultura, della storia della sua terra. Amico personale della Prof.ssa Ferrigno, in suo onore e per rendere più comprensibile la storia della frazione marinara di Vittoria, ha voluto richiamare, senza alcuna improvvisazione, tutta la storia del luogo sorto a Camarina e decantato da poeti e narratori.
(n.d.r.)
di Paolo Monello
“Corollario alla produzione letteraria di Lidia Ferrigno.Scoglitti tra passato e futuro
Come corollario della lunga disamina delle opere di Lidia Ferrigno e di fronte al suo considerare Scoglitti quasi un mondo a parte rispetto a Vittoria, mi sembra utile richiamare brevemente la storia della frazione, di cui altre volte ho parlato.
Non sappiamo se al tempo di Camarina la costa dove oggi sorge Scoglitti fosse abitata. Sembrerebbe di no. La città gravitava attorno alla grande palude, che ne costituiva un porto interno, delimitato almeno da un colossale antemurale di 500 metri alla foce del fiume Ippari (visibile ancor oggi nei rilievi aerei). Sappiamo però che nella zona dove oggi sorge il cimitero sorgeva la grande necropoli settentrionale (metà VI-V sec. a.C.), con monumenti funebri visibili fino a metà del Cinquecento (Fazello), poi tutti andati perduti. La zona, già indicata nell’Itinerarium Antonini come parte del “Mesopotamium” fu poi citata dallo sceriffo Idrisi nel suo “Libro di Re Ruggero” (1154) come “Penisola delle Colombe” (“Gazirat al haman”). Michele Amari, nella sua storia del Vespro (1840), descrive la costa di Scoglitti coperta di cadaveri di soldati, dopo che una terribile tempesta aveva distrutto la flotta angioina nel luglio 1300 (dopo la strage di Gulfi). Monete di Manfredi della metà del XIII secolo e ceramiche coeve sembrerebbero attestare abitazioni e commerci sul promontorio. Poi, probabilmente ad opera dei Chiaramonte, fu eretta una torre (citata negli accordi di Castrogiovanni tra i Quattro Vicari nel 1362) a guardia del caricatore (cioè un piccolo attracco -verosimilmente all’interno della palude- da cui si spedivano i prodotti del circondario), mentre tutt’intorno alla palude stessa -formatasi perché le sabbie ostruivano il libero corso delle acque- probabilmente da sempre sorgevano grandi dune di sabbia. Nel piccolo villaggio attorno alla chiesa costruita su un muro del tempio di Athena, secondo lo storico francese Henri Bresc, sarebbe esistito un mercato di schiavi nella seconda metà del Trecento. La chiesetta era dedicata alla cosiddetta Madonna di Cammarana, il cui culto, propriamente della “Dormizione della Vergine” è di origine bizantina e fu ampiamente diffuso dai Normanni in Sicilia nel XII secolo. La torre di Cammarana (ricostruita usando materiali antichi da Bernardo Cabrera ai primi del Quattrocento) è raffigurata sotto il manto dell’Immacolata nel grande quadro della chiesa di San Francesco a Comiso (conosciuta anche come “mausoleo” dei Naselli). Tommaso Fazello (1544, 1554) e poi Camillo Camilliani (1583) parlano dei luoghi, descrivendone Fazello le rovine, la palude con i resti di monumenti funebri e i grandiosi antemurali, la festa della Madonna di Cammarana, celebrata «con gran concorso di genti dei dintorni e persino da Malta»; Camilliani descrive il litorale deserto di Scoglitti “percorso dai guardiani” dalla Balata (oggi punta Zafaglione) fino ai piccoli scogli e il promontorio con la palude. La torre fu bombardata dal pirata Ulucchiali nel 1591 e da allora perse ogni importanza strategica. La concessione di terre in enfiteusi nella valle e lungo la costa dalla seconda metà del Cinquecento in poi mutò la situazione dei luoghi. Ma se sul promontorio e attorno alla chiesa Tommaso Fazello ci testimonia lo svolgersi di una fiera nei giorni di mezz’agosto in onore dell’Assunta (notizia cui Paternò aggiungerà lo svolgersi di un palio di cavalli berberi), per avere notizie di Scoglitti occorrerà aspettare il 1625, quando già Vittoria aveva superato i 1000 abitanti. Nei registri parrocchiali di San Giovanni è citata la presenza di “patron” di barche, trapanesi, marsalesi e mazaresi che da Scoglitti partono verso Malta; a Scoglitti saranno poi fatte sbarcare nel 1643 le macine del trappeto del Cannamellito giunte da Palermo e arrivate in barca da Pozzallo. Accanto all’antica strada lungo la valle proveniente da Comiso verso Cammarana, la nuova Terra di Vittoria si collega con la sua “creatura” tramite la “via pubblica degli Scoglitti”, e cioè il prolungamento dell’attuale via dei Mille (registrata in atti notarili per la prima volta nel 1670), strada che attraversava il futuro piano dei Cappuccini, proseguendo lungo il ciglio della valle verso Resiné e l’Anguilla. Sarà la rivolta di Messina (1674-1678) a veder sorgere sulla punta del cosiddetto Palummaro (l’antica “penisola delle colombe”) una torre di guardia in funzione antifrancese e antimaltese a guardia del piccolo “scaro” (col termine si intendeva un’insenatura senza molo per l’attracco di barche). Attorno alla torre ed al servizio doganale dello scaro (amministrato dalla Segrezia di Vittoria per conto della Contea fino al 1812) cominciarono a sorgere alcuni magazzini di deposito, soprattutto per opera dei Ferreri (abili imprenditori, probabilmente originari di Malta), che nel 1717 ebbero in feudo l’Anguilla, con annesso titolo di baroni. A loro si deve la costruzione della chiesetta di San Francesco di Paola (già utilizzata almeno dal 1737 come luogo di sepoltura) e di ben 10 magazzini nel 1748, come deposito per imbarco merci. Intorno agli anni ’70 del Settecento, il Principe di Biscari, Ignazio Paternò Castello (senza alcun diritto sui luoghi) fece scavare dai frati Cappuccini di Biscari la zona dell’antica necropoli settentrionale di Scoglitti (dove oggi sorge il cimitero), traendone reperti di cui riempì il suo Museo nel palazzo Biscari, una raccolta poi confluita tra quelle custodite oggi al Castello Ursino di Catania. Il suo segretario Domenico Sestini parla anche di “bambole” rinvenute e di alcune statuette di Demetra, che il Principe donò a suoi amici di Firenze. Allo stesso Principe (1781) e poi a Jean Houel (1780 circa), dobbiamo la descrizione della chiesetta di Cammarana, utilizzata -in base ai registri parrocchiali della basilica di San Giovanni- come luogo di sepoltura dall’ottobre 1683 in poi per alcuni svenurati (maschi e femmine) annegati alla marina (la chiesetta infatti, pur in territorio di Ragusa apparteneva alla parrocchia di Vittoria). Dopo di loro, nel 1816, la chiesetta fu descritta dall’ufficiale inglese William Smyth con un gran numero di ex voto marinari, ma dopo un incendio nel 1837 fu progressivamente abbandonata, fino ad essere smantellata.
A Scoglitti intanto, dopo l’abolizione del feudalesimo nel 1812, fallito il tentativo del marchese Gioacchino Ferreri di impadronirsi dell’area circostante ai suoi magazzini, numerosi pescatori provenienti da Terranova (l’odierna Gela) si insediarono attorno allo scaro, creando nel tempo un piccolo borgo (da questo deriva la leggera inflessione gelese della parlata di Scoglitti e la presenza di parecchi cognomi di origine gelese). Dal 1816 in poi, per intuizione del barone Francesco Contarella, Scoglitti divenne punto di imbarco privilegiato per il vino nero vittoriese, che da allora e fino alla fine del secolo si chiamò “Scoglitti”, raggiungendo Malta e i porti di Napoli, Livorno, Genova. Dal 1825, il mercante inglese Benjamin Ingham, fatta costruire la nuova rotabile Vittoria-Scoglitti, faceva perno su Scoglitti per l’esportazione nei suoi stabilimenti di Marsala dell’alcool prodotto a Vittoria al Giardinazzo. Nonostante ciò, lo scaro -assai pericoloso per gli scogli presenti- fu trascurato dall’amministrazione borbonica, al punto che nel 1859 un gruppo di “borgesi” (cioè Massari e Civili, tutti produttori di vino) vittoriesi tentarono di costruire un molo su palafitte a loro spese, senza riuscirci. Dopo il 1860, la borgata, in crescita demografica, fu dotata dal Comune di Vittoria di alcuni servizi essenziali. Alla pesca ed all’esportazione del vino per tutta la seconda metà dell’Ottocento, ai primi del Novecento si aggiunse -importata dallo sciclitano- la nuova coltura del pomodoro nelle contrade Anguilla (attorno alle Case Denaro) e a Lucarella, mentre probabilmente negli antichi magazzini Ferreri (acquistati da ricchi vittoriesi e già utilizzati come depositi), nacquero piccole industrie per la salagione del pescato e per la conserva di pomodoro (“La Camarina” e “l’Ipperia”). Luogo di colonie estive già negli anni ’20, dagli anni ’30 in poi a Scoglitti si sviluppò “l’industria” -limitata a poche decine di ricche famiglie borghesi vittoriesi- della villeggiatura, con la creazione di numerose case lungo l’attuale via Messina e verso Cammarana, mentre lo sviluppo al di là del faro era poco appetibile per la presenza di scogliere. A Scoglitti, dopo un violentissimo bombardamento delle fortezze volanti sull’aeroporto di Comiso nella notte tra il 9 e il 10 luglio, all’alba del 10 luglio 1943, il mare apparve coperto da un grandissimo numero di navi e di mezzi da sbarco. E da quel giorno di 80 anni fa è nata la nostra storia contemporanea. Quanto al porto, dopo reiterati e falliti tentativi sin dai tempi di Cancellieri, finalmente negli anni ’50 si cominciò la costruzione di due moli, purtroppo con l’imboccatura non orientata a sud, e quindi aperta alle correnti ed all’insabbiamento continuo dei fondali (ma questa è un’altra storia…).
Che voglio dire con questo breve excursus storico? Che vero è che Scoglitti è un “paesino” con una sua fisionomia, una sua diversa inflessione dialettale, con tradizioni assenti a Vittoria (ad esempio quella delle “cene di San Giuseppe”) ma è stato “creato” da Vittoria, di cui è il “prolungamento” a mare: un tutt’uno, insomma. Scoglitti è indissolubilmente legata a Vittoria, nel bene e nel male.
Allo stesso modo, Camarina ed il suo promontorio sono sentiti come parte integrante della cultura cittadina. Più volte ho precisato che il mito del “reaedificetur Camarina” fu inventato dopo il 1763 e non sta alla base della fondazione di Vittoria, come si ripete per tradizione. Accadde infatti che per vincere la causa nella lite territoriale contro Chiaramonte sul possesso di Bonincontro (all’interno del Boscopiano), che durava dal 1684 con una ripresa nel 1745, probabilmente su suggerimento dell’arciprete don Enrico Ricca, i legali della cittadina, Matranga e Trimarchi, affermarono che il Boscopiano coincideva con la foresta di Cammarana avendone gli stessi confini e visto che Vittoria sarebbe nata “per rifondare Camarina”, per gli antichi usi giuridici medievali Boscopiano apparteneva tutto a Vittoria. L’azzardo -non suffragato da alcun documento- passò ma Vittoriesi e Chiaramontani si divisero saggiamente le terre in questione, prendendo come confine la strada Comiso-Mazzarrone. Però, la mia precisazione -che è unicamente rispetto della storia- non vuole per niente disconoscere il legame affettivo dei Vittoriesi (e nel termine includo ovviamente anche coloro che sono nati a Scoglitti, detto Ufficio II di Vittoria) verso Camarina, anche se il promontorio e gran parte delle aree archeologiche sorgono in territorio di Ragusa (cosa che spesso si dimentica, addossando agli amministratori vittoriesi colpe che non hanno, semplicemente per mancanza di giurisdizione). Nel nostro territorio invece insisteva la grande palude o “biviere di Cammarana”, nel 1748 estesa ben sei salme, pari cioè a 18 ettari circa, che produceva ancora le “ottime anguille” citate da Fazello. Ma la palude e gli altri stagni (soprattutto il Salito) erano portatori di malaria, causa di alta mortalità tra coloro che vi lavoravano, impedendo conseguentemente lo sviluppo dell’insediamento di Scoglitti. Alcune parti della Salina erano poi utilizzate per la produzione del riso, non senza la palese ostilità di parte del Consiglio comunale, per i limiti che ne derivavano allo sviluppo stesso della borgata. In ogni caso, dopo l’approvazione nel 1881 di una legge nazionale fortemente voluta da Rosario Cancellieri, ai primi del Novecento la grande palude fu prosciugata e lo stagno Salito (attorno al cimitero) fu svuotato con un’apposita condotta, dopo che dal 1896 Paolo Orsi aveva cominciato a scavare sul promontorio, riscoprendo l’antica città, dopo J. Schubring e F.S. Cavallaro. Nel frattempo, come si è detto, Scoglitti si avviava a diventare quel “paesino” degli anni ’30 descritto da Lavore, cantato da Neli Maltese ed Emanuele Jacono e luogo di villeggiatura della borghesia vittoriese…
Il promontorio -a poco a poco mangiato dal mare, dove nel 1920 crollarono gli ultimi avanzi della torre, detta volgarmente “u papallossu ‘i Cammarana”- era però luogo di leggende, riferite da Giuseppe Pitré (apprese forse da Serafino Amabile Guastella).
«In parecchi comuni della provincia di Siracusa [oggi Ragusa] -scrive Pitré- corre la credenza che a Camarina presso Scoglitti sia un tesoro nascosto, il quale non potrà essere disincantato se non la notte dal 14 ai 15 agosto da chi, presa moglie, non si sia pentito del matrimonio; ed è volgare il proverbio “cui si marita e nun si penti, pigghia la truvatura di Cammarana”. Dice la tradizione che i Turchi una volta, distrutto un tempio che colà era, gettassero a mare una statua della Madonna, insieme con le campane della chiesa. Ogni anno, nella notte che precede la festa, si ode in quel sito un grande rumore, e suono cupo di campane, di ori e di argenti».
La leggenda della campana sommersa e «il suono cupo di ori e di argenti» nel fondo del mare, richiamano l’altra leggenda, assai radicata, detta di Re Cucco, che parla di immensi tesori in una caverna sottoterra, nei pressi dei ruderi della torre. «Ammucchiato al centro di essa, su una pelle di bue, c’era un tesoro, il tesoro di Re Cucco: oro, brillanti, argento e marenghi…», così immagina la scena Virgilio Lavore.
Lo stesso Lavore riporta il pensiero di Biagio Pace sull’origine del nome Re Cucco, che nel suo volume “Camarina”, parlando dell’omonima grotta (in verità una catacomba), così scriveva nel 1927: «…la leggenda colloca in questa grotta i tesori di Re Cucco o Rancucco: nome che io credo di origine iconografica, creato per un popolaresco riferimento ad un re dei bronzetti camarinesi con la civetta, in dialetto cucco» (negli anni ’80 ricordo che su iniziativa delle amministrazioni dell’epoca e per l’abnegazione ed il lavoro del prof. Barbante e di suoi amici nacque “Re Cucco”). Legata a questa tradizione sarebbe una variante al proverbio riportato da Pitré raccolta da Giovanni Consolino, che è la seguente: «ku si marit(a) e nun zi penti, si v(a) a sigghi cient(u) unz(i) o bbank(u) i Lontra». Variante che a mio avviso risale al periodo in cui i Siciliani ebbero stretti contatti con gli Inglesi, e cioè al tempo delle guerre napoleoniche. Inoltre due recenti acquisizioni documentarie confermano e accrescono le testimonianze sulla grande devozione popolare di cui godette per secoli il culto di Cammarana. Il primo documento proviene da “Vestru” di Serafino Amabile Guastella, una raccolta di materiali orali trascritti dall’autore nel 1882, in cui si narra della vicenda umana di una giovane donna che, sedotta in chiesa, era stata punita dando alla luce un figlio «brutto come un serpente, e coperto dalla testa ai piedi da una crostaccia che faceva venire lo schifo…» e che, portatolo davanti nella chiesa di Cammarana in mezzo ai macconi ebbe il miracolo di vederlo guarito da Maria Santissima Assunta. Altri cenni sono in Consolino, che riporta due poesiole sul culto della «bedda signura di la Kammarana». A questo proposito mi sembra utile concludere accennando al fatto che nella chiesetta, non ci sarebbe stata una statua della Madonna, ma secondo Paternò un grande quadro della “Dormizione della Vergine”. La statua che oggi si venera a Scoglitti fu realizzata nel 1865 da Giuseppe Giuliano di Palazzolo Acreide. Questa la cornice di usanze e tradizioni a Scoglitti.
Ritornando a Camarina, nonostante il pessimismo -ben fondato- di Lidia Ferrigno, Camarina non è scomparsa né è stata tutta sepolta dalle colate di cemento. Né è assente dalla storia. A tutti io infatti mi permetto di consigliare la lettura di “Camarina, città greca. La tradizione scritta”, di Marina Mattioli, del 2002, con introduzione di Federica Cordano: un’opera preziosissima che raccoglie tutte le fonti scritte sulla città, dai poeti agli storici ai geografi, fino alla tradizione proverbiale sulla palude: un lavoro che molti dovrebbero leggere per diletto e non occorre sapere il greco, perché sotto ogni brano in greco è riportata la traduzione. Ed è una lettura istruttiva, che rende orgogliosi di vivere su queste terre, nonostante gli stravolgimenti degli ultimi 120 anni. A ciò che successe a Scoglitti, alle dune e nelle terre circostanti (anche appartenenti a Ragusa), due anni fa dedicai una trentina di articoli, che ho pubblicato in volume on line dal titolo «Una storia semplice: due Piani Regolatori ed una Variante. Menzogne e verità sulle vicende urbanistiche di Vittoria dal 1949 al 2017» e non mi sembra il caso di ritornarci. Occorre infatti guardare al futuro, arricchendo e abbellendo Scoglitti quanto più possibile, accompagnandone lo sviluppo con la conoscenza della storia della zona, cui la poesia e gli scritti di Lidia Ferrigno hanno dato la dignità di “luogo dell’anima”…