Acate. “La vita nel piccolo villaggio di Biscari”.
Salvatore Cultraro, Acate (Rg) 17 novembre 2024.- A quasi un secolo dalla sua fondazione, il piccolo borgo di Biscari si accingeva a diventare già un villaggio di circa 650 abitanti, come ci riferisce la professoressa Gabriella Berrafato nella sua Tesi di Laurea edita nel 1980, denominata: “La Baronia de il Biscari”. Dai “riveli” del 1593, menzionati nella suddetta Tesi, sappiamo che la popolazione era costituita in gran parte da giovani, non c’erano famiglie numerose, costituite in media da quattro elementi, e il tenore di vita nel suo complesso non era disagiato. Quasi tutti possedevano la propria umile casa, e qualcuno aveva al suo servizio anche schiavi e servi. Molti possedevano un vignale (vigna con abitazione del proprietario). Le attività erano prettamente agricole o legate alla pastorizia ed in modo particolare i ragazzi si dedicavano alla coltivazione dei campi. Infatti gli abitanti si dedicavano alla coltivazione della canapa, del frumento, dei legumi e del foraggio o alla cura degli animali, asini, cavalli, muli, buoi e vacche. La giornata lavorativa era molto lunga e dura. Ci si recava nei campi ancor prima dell’alba e si ritornava al villaggio quando il sole iniziava a tramontare. “Ognuno portava il carico consueto della legna- secondo una poetica ed ipotetica ricostruzione, fatta da don Rosario Di Martino nella sua opera: Biscari ed il suo Martire che sorride- che serviva a riscaldare la piccola casa e nello stesso tempo a cucinare la minestra, fatta di solito con fagioli. Le prime tenebre venivano rotte dalla luce fioca dei lumicini, che filtrava da piccoli sportelli, spesso di forma circolare, o da qualche lampione che incominciava a comparire nei crocicchi delle poche stradelle. I lunghi silenzi della notte venivano di tanto in tanto profanati dal latrare di un cane e, sul finire della notte, dal canto del gallo. A ritmare le ore del giorno e della notte c’era la campana della nuova chiesa matrice, dedicata a San Nicola, che faceva da interlocutrice tra il villaggio e la campagna”. Un po come avviene oggi a seconda del numero dei tocchi, si avvertiva la popolazione dell’avvenuta morte di un uomo o di una donna. “Il suono della campana,- ci dice ancora don Rosario nella sua opera citata- durante la novena di Natale avvertiva del passaggio del Bambinello Gesù tutto infreddolito. Le donne prese da grande tenerezza, accendevano un focherello dinanzi alla porta per scaldarlo. Ai bambini che chiedevano il perchè di quella fiamma, si sussurrava loro: sta passannu u Bamminieddu… Tempi meravigliosi, quando la fede senza tanti teoremi era dimostrata con la pietà vera e sincera e i misteri della vita di Cristo intessevano la quotidianità degli antenati che, con la loro semplicità, umiltà e povertà credevano nella Provvidenza e vivevano la loro vita all’insegna della speranza cristiana”.