Acate. Biscari e il diritto di patronato del Barone Guglielmo Raimondo Castello nelle sue due chiese: di San Biagio e di San Nicolò.
Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 20 settembre 2023.- A Biscari (antico nome di Acate) i Baroni, prima, ed i Principi successivamente, si sono avvalsi sempre del “diritto di patronato” nell’elezione dei vari parroci. Un privilegio dettato dal fatto che erano loro a dotare di un cospicuo stipendio il parroco, il quale veniva chiamato beneficiato o beneficiale. L’emerito e compianto parroco di Acate, don Rosario Di Martino, nella sua opera “Notamento dell’antiqua Patronanza dello Biscare”, edita nel 2004, riportando un documento conservato presso l’Archivio di Stato di Catania- Fondo Biscari- vol. 905, carta 276, ci fa sapere di una protesta avanzata proprio dal Barone, Guglielmo Raimondo Castello, indirizzata al Sommo Pontefice in quanto “sentitosi spogliato da detto diritto”. “Il Signor Guglielmo Raimondo lo Castello- si legge nel documento tradotto dal latino– barone della predetta baronia e casale del Biscari, nella quale edificò due Chiese e precisamente una dedicata a San Biagio e l’altra a San Nicola e in queste dette chiese ha presentato come beneficiali diversi sacerdoti e cioè il venerabile presbitero Francesco de Vita e dopo la morte di questi il Signor Barone presentò Simone de Burgio; morto costui il rev.mo Vescovo di Siracusa, sotto la cui diocesi si trova il casale di Biscari, presentò come ordinario un certo Giovanni de Ventura della terra di Chiaramente. Il detto barone si sentì spogliato del detto diritto e ricorse al Sommo Pontefice che allora era Giulio papa VI il quale mandò con il sigillo dell’anello del Pescatore, al reverendo Tesoriere della Chiesa Maggiore che era allora il Reverendo Bernardo Intrigliolo, nonchè come Giudice delegato nella detta questione, il 28 luglio 15 ind. 1512 la sentenza con la quale dichiarava che il diritto di presentare il beneficiale era di competenza del detto Signore Guglielmo Raimondo e dei suoi eredi e successori come appare chiaro dal tenore della detta sentenza pronunziata a Catania il 27 agosto 15 ind. 1515”.