Acate. Il Barone Guglielmo Raimondo Castello e il “mero e misto impero”.
Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 12 novembre 2024.- Guglielmo Raimondo Castello, Primo Barone di Biscari, dopo pochi anni dal suo insediamento, quale signore del feudo, richiese al re tutti i poteri relativi al governo della baronia compreso il “mero e misto impero”, ovvero il diritto di esercitare la giurisdizione sia civile che criminale, punendo i delinquenti con la morte, l’esilio o la carcerazione. Il re Carlo II d’Asburgo il 12 novembre 1521 con una lettera spedita al Vicerè e per conoscenza a don Guglielmo, gli concesse tutti i poteri richiesti. Un privilegio indubbiamente non “gratuito” ma “venduto”, dietro pagamento di una determinata somma da parte del feudatario, in questo caso ben “cento once”. Importo che andava a sostenere i fondi del, sempre in crisi, Regio Erario. Nella lettera, (Archivio di Stato di Catania- Fondo Biscari), infatti, si evidenzia che “la Baronia di Biscari è in grado di poter sovvenire con generosità alle necessità del Regno”. Si esorta, inoltre, don Guglielmo Raimondo a non usare arbitrariamente il mero e misto impero, ma di usarlo solo contro “i malfattori ed i delinquenti con il potere di condannarli a morte”. Vengono elencate, quindi, una serie di torture che il barone può infliggere: “mettere in carcere, legare, processare, multare, bastonare, linciare, tagliare le orecchie, il naso, le mani….e infliggere qualsiasi altra pena corporale fino all’ultimo supplizio, ossia consegnare alla morte”. Ma allo stesso tempo il Barone poteva anche: “perdonare, rimettere, indulgere, risparmiare e condonare”. Erano esclusi dalla giurisdizione del Barone, invece, i seguenti delitti: “eresia, lesa maestà, falsare le monete, ritrovamento di tesoro” i quali venivano riservati alla Regia Curia. Don Rosario Di Martino, nella sua opera: “Biscari e il suo Martire che sorride”, oltre a fornirci queste notizie, evidenzia che “la potestà del mero e misto impero veniva segnalata dalla presenza di una forca nel feudo, posta alle porte dell’abitato”.