Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 7 febbraio 2025.- La Chiesa Madre di Acate, intitolata a San Nicolò di Bari, al suo interno custodisce, purtroppo, pochissime opere di valore. La più prestigiosa è senza dubbio, un quadro sistemato al centro dell’Altare Maggiore raffigurante San Biagio che compie un miracolo, opera del celebre pittore, originario della vicina città di Vittoria, Giuseppe Mazzone. Un dipinto, che fa parte della sua produzione di “Opere Sacre” e che raffigura San Biagio, Patrono di Acate, mentre toglie una spina dalla gola di un bambino. Sembra che il miracolo, scelto dall’illustre pittore, sia avvenuto all’interno di una sacrestia leggermente elevata come dimostrato da un gradino coperto da un tappeto. Su di un seggio siede il Vescovo, con i suoi paramenti sacri, chinato verso un bambino in piedi. Con una mano il Vescovo tocca in modo delicato la gola del bambino, dietro al quale stanno due donne inginocchiate, e la prima dovrebbe essere la mamma, mentre l’altra esprime molta curiosità. Accanto al Vescovo si vede un Diacono che tiene il pastorale. Nell’angolo sinistro si intravedono due teste di Angeli che rappresentano idealmente la presenza dello Spirito Santo ed il consenso di Dio al miracolo. “Sembra che il pittore voglia riaffacciarsi alla tradizione romantica-sostiene Giovanna Garretto Sidoti nella suo volumetto, “Vittoria, le Arti Figurative e il pittore G. Mazzone” edito nel 1989 dal “Museo Polivalente A. Zarino”- avida di effetti teatrali; c’è infatti in tutta la composizione poco animata, la preoccupazione di ricostruire meticolosamente la verità esteriore ma i personaggi mancano di quel senso di verità psicologica che mai viene meno negli altri quadri dello stesso pittore. La figura del Vescovo è maestosa e molto teatrale, in contrasto con quella del bimbo, che poggia sul petto le manine. Manca, al primo, quella spiritualità che necessariamente avrebbe dovuto esprimere il viso di un Santo che sta invocando l’aiuto di Dio per la guarigione di un malato; anche le due donne sembrano impassibili. Belle però nelle loro pettinature alla moda, molto curate con quei veli sul capo e quegli abiti dalle belle pieghe, di un cromatismo delicato”. “Questo disinteresse per le espressioni psicologiche- continua la Sidoti nell’opera citata- è compensato, da un realismo piacevole reso dai bei chiaroscuri , da ombreggiature brune, da uno sfondo grigio sfumato che definisce meravigliosamente e realmente le ombre, per le quali è stata sfruttata la luce naturale. Molto evidente è la vena ritrattistica in questo quadro che pure ha molti pregi pittorici. Le due donne sono la moglie e la sorella e il bimbo il figlio di un vittoriese di nome Scordia. Il Diacono ed il Vescovo si rivedono nella tela della Passione, sempre con intenti ritrattistici”. Nelle sue conclusioni la Sidoti ci da ancora altre importanti notizie sul Quadro e sul suo autore, notizie presupponiamo sconosciute, ed inedite, alla quasi totalità di fedeli, nonostante il dipinto raffigurante il Patrono San Biagio faccia da sempre bella vista di se sull’altare Maggiore della Chiesa Madre. “Nei dettagli bellissimi- conclude la Sidoti- il Mazzone eredita la cura, che per essi ebbe il maestro Salvatore Lo Forte, nell’ultimo trentennio della sua vita. Se un po di artificiosità si sente in quel risvolto del manto del Vescovo, non manca però in tutti gli altri particolari il realismo. Pettinature lucide, orecchini d’oro, gemma che aggancia il manto fastoso del Vescovo e le mani per le quali ha sempre una cura speciale. Meravigliosa la resa viva e sensibilissima della carnagione di tutti i personaggi. Nella composizione, predomina il colore scarlatto, che contribuisce molto al fasto dei paramenti, il quale viene in parte smorzato, dalle delicatezze degli sfumati grigi del fondo e del bianco della veste del bimbo. La posizione delle figure sembrerebbe errata, se non si immaginasse la continuazione del gradino prospetico, dal lato in cui sono inginocchiate le donne. Così la resa prospettica e quella pittorica sono esatte”. Giuseppe Mazzone è un pittore vittoriese dell’Ottocento. “Un pittore indigeno nato con l’ardente passione del colore e del disegno. Sin dall’inizio si dilettò soprattutto nella copia dei quadri di Raffaello e, pittore fatto, con una personalità propria che lo distingue da qualunque altro, egli conserva la forte simpatia che gli fa affrescare sulla volta della Chiesa di San Giovanni (a Vittoria), la Cena”. Come raccontava il fratello Alfonso Mazzone, a cinque anni Giuseppe faceva già disperare la sua mamma imbrattando tutte le pareti, disegnando veristicamente le galline del pollaio. Nella scuola privata che frequentava, non esistendo ancora a Vittoria scuola pubbliche, si distinse per i suoi disegni che lasciarono perplesso il maestro. I quaderni e le pareti ne erano pieni. Si entusiasmava davanti ai fiori ed al verde delle piante, il loro colore, infatti, lo rendeva pazzo di gioia. A dodici anni, a Noto, fece il suo primo ritratto al Vicerè di Sicilia, Satriani che rimase così entusiasta da assegnargli una borsa di studio di ben quattro tari al giorno per potersi recare a Palermo a studiare pittura. Nel 1852 frequentò la Scuola di Belle Arti di Palermo divenuta successivamente Facoltà della Regia Università, ed il Mazzone in quel periodo studiò alla scuola del pittore Lo Forte. Nel 1860 a Vittoria affrescò la Cena di Raffaello, mentre nel 1861 ideò e portò a termine la tela della “Passione”. Sempre a questo periodo risalgono altri dipinti come quello conservato nella chiesa dell’Addolorata a Pozzallo e il sipario del “Teatro Garibaldi” di Vittoria (Non più esistente), raffigurante l’incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele II a Teano. Nel 1864 sentì il bisogno di uscire dalla Sicilia recandosi dapprima a Firenze, ritornando in Sicilia nel 1869 e sposando la bellissima Giovanna Arena. Espose le sue opere a Roma, Napoli, Caserta, Siracusa e Palermo. Morì a Vittoria nel 1880, afflitto da “catarro intestinale”.