Salvatore Cultraro, Acate (Rg), 27 febbraio 2024.- Ciò che rendeva particolare ed in un certo senso appetibile, l’antico feudo di Biscari, era la ricca presenza di acqua che naturalmente faceva si che il feudo fosse notevolmente fertile regalando allo stesso tempo, ai suoi coloni, un tenore di vita relativamente agiato. Il fiume Dirillo, abbondava di “acque limpide” ed in esse- come ci riferisce il compianto ed emerito parroco di Acate, don Rosario Di Martino nella sua opera “Biscari ed il suo Martire che sorride”, secondo una sua poetica ed ipotetica ricostruzione- ”si specchiava la catena delle colline, che lo accompagnavano dolcemente alla foce. I campi arati contrastavano con il bianco spumeggiante del mandorlo in fiore e, nei mattini d’inverno, si presentavano con colori diversi: color marrone chiaro laddove erano accarezzati dal sole e grigio-bruni a ponente; intrisi al mattino di fresca rugiada, come la fronte imperlata del sudore di chi, chino tutto il giorno, dallo spuntar dell’alba fino al tardo pomeriggio, aveva con pazienza faticato”. Altrettanto bella la descrizione, sempre ipotetica, della stagione primaverile e dell’estate. Un paesaggio bucolico che ancora oggi, nelle nostre contrade, si discosta di poco da quanto immaginato, conservando Acate, per fortuna, le sue radici prettamente agricole. “Nella primavera poi- continua don Rosario-il manto verde del frumento, in mezzo al quale spiccava qua e la il color rosa del pesco in fiore, era tutto punteggiato dal rosso vivo del papavero; ai margini faceva da cornice dorata il giallo vivace delle margherite”. Quindi si passa ad uno dei momenti più affascinanti della vita agreste ovvero, la mietitura, momento, questo, purtroppo oggi notevolmente mutato grazie all’avvento della tecnologia. “Alla fine di maggio-recita l’emerito parroco- l’abito dei campi si tingeva color crosta di pane ed era già il tempo della mietitura. Sotto i raggi cocenti del sole, si mieteva, si trebbiava, accompagnando lo scalpitio dei cavalli o dei muli, sotto gli zoccoli dei quali brillava il biondo grano, con nenie senza parole, forse d’amore, permeate di nostalgico desiderio della sposa lontana, o della donna che i sogni avevano già scolpita nel cuore”. Un quadro bucolico che evidenzia il “mistico” rapporto di quei tempi, tra l’uomo e la natura il tutto suggellato da una “meravigliosa intesa”. Pertanto don Rosario conclude questa sua poetica descrizione della vita campestre di un tempo con un altra fase altrettanto pittoresca e particolare, la vendemmia, che caratterizza la stagione autunnale. “Nonostante tutto- si legge ancora- era una vita gaia e spensierata, e l’unica preoccupazione era il pane per la famiglia, pane che non si mangiava mai senza prima averlo baciato e aver ringraziato il Signore Iddio. Dopo la calura dell’estate, che portava abbondanza di frutta d’ogni specie, subentrava la vendemmia. I riti che l’accompagnavano erano complessi e ognuno celebrava il suo: c’era chi raccoglieva i grappoli, altri trasportavano le ceste piene d’uva, chi pigiava nel tino e chi, con una grande stuoia approntata con l’intreccio di canne e di vimini, ventilava i compagni immersi nell’odore acre del mosto, che poteva essere causa di morte per asfissia. E tutto era cadenzato dai soliti canti che rendevano meno pesante la fatica”. Inoltre, con l’autunno si riapriva il cerchio delle attività legate alla terra. Si riprendeva ad arare ed a seminare, con protagonista assoluto del suo lavoro: l’uomo. La modernità e la tecnologia, l’uso delle macchine, ha fatto si che oggi gran parte di tutto ciò scomparisse. La civiltà contadina dei nostri avi ormai rivive solo in specifici “volumi riccamente illustrati”. Un mondo ormai scomparso, dai valori semplici e forti, raccontato alle nuove generazioni quasi come fosse, “un mondo incantato e fantastico”, come quello delle fiabe, con i suoi diversi aspetti della propria vita quotidiana: la famiglia contadina, la casa colonica, gli attrezzi agricoli, l’aratura, il grano, la vendemmia la stalla, il mezzadro, il fattore, il padrone, la saggezza contadina, i proverbi e i modi di dire.