Acate. Luglio 1943: “Ancora scomode vittime civili reclamano giustizia”.
Salvatore Cultraro, Acate (Rg) 1 luglio 2016.- Ci sono voluti più di settanta anni per avviare un lento processo che finalmente sta rendendo, ufficialmente, giustizia a tutte quelle vittime innocenti falciate, durante il loro non indolore passaggio, dalle truppe americane. Per alcune di esse, come i settantatrè militari italiani dell’ex aeroporto di Santo Pietro o i sette coloni di Borgo Ventimiglia, tale ufficialità ormai è da anni un dato di fatto. Purtroppo essi non furono i soli ad essere barbaramente trucidati, nel nostro circondario, in quei tragici giorni del luglio 1943. Altre vittime reclamano giustizia anche se la loro dolorosa richiesta è stata sempre volutamente negata. La loro è una richiesta scomoda, imbarazzante che provocherebbe disagio nel rievocarla, che richiede un grande coraggio nel farlo. Eppure queste vittime non chiedono altro che essere ricordate. Una semplice menzione, un semplice fascio di fiori, una piccola preghiera in occasione delle rituali commemorazioni. Piccoli gesti difficili da fare perché, per loro sfortuna, alcune di queste vittime ricoprivano cariche “imbarazzanti”. Una di esse aveva solo diciassette anni, si chiamava Valerio Mangano, sua unica colpa essere il figlio del Podestà, Giuseppe Mangano, trucidato dagli americani alle porte di Vittoria, mentre insieme al padre ed altri amici e familiari cercava di raggiungere, indifeso, la vicina cittadina. Un episodio noto a tutti, ma estremamente scomodo da ricordare. Eppure quei tragici avvenimenti sono stati riportati anche, con dovizia di particolari, dal professore Piero Occhipinti nel secondo volume della sua opera, “Biscari- Primo Novecento-1895-1950” e dallo storico Stefano Pepi nel recente volume “Biscari Fascista”. Nella notte tra il 9 ed il 10 luglio, resisi conto dell’imminente arrivo ad Acate delle truppe americane, il podestà Giuseppe Mangano ed il fratello, il capitano medico Ernesto, rientrato da pochi giorni in licenza da Leopoli in Ucraina, decisero di trasferire i loro familiari, compreso il giovane Valerio, presso alcuni parenti nella vicina città di Modica, per metterli al sicuro. Il loro doveva essere un breve viaggio e non una fuga. Il tempo di lasciare nella città della contea i familiari e poi sarebbero ritornati immediatamente ad Acate. Ma giunti in prossimità di Vittoria, all’altezza del civico 338 di via Cavour, l’auto del podestà fu fermata da una pattuglia americana. Le donne furono fatte entrare nella vicina abitazione della famiglia Scuderi, mentre gli uomini furono fatti sdraiare per terra con il viso rivolto al selciato. Dopo un concitato scambio di frasi, in parte incomprensibili, tra i militari ed i prigionieri, quest’ultimi furono portati via. “Il giovane Valerio- racconta il professor Occhipinti nel suo libro- si voltò indietro e con la mano salutò la mamma che era sicuro di vedere ancora una volta. Cercava nel suo sguardo protettivo una scintilla di fiducia”. Sguardo che non vedrà mai più in quanto, da li a poco sarebbe stato trucidato insieme al padre, mentre tentava di scagliare, probabilmente, un sasso contro gli americani che gli avevano gratuitamente ucciso il padre. “Autorevoli testimonianze-si legge nel libro del professore Occhipinti- raccontano che sia stato trovato abbracciato al padre con il volto imberbe sfregiato da un arma da taglio, probabilmente una baionetta”. (Nella foto il giovane Valerio al centro tra i suoi genitori)