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Acate. “Raggiuni comu o raloggiu do Viscari”. Cronistoria dell’orologio pubblico di Acate “riportato alla ragione” dall’ing. Giovanni Re.

Redazione Due, Acate (Rg) 20 agosto 2015.- “L’orologio della piazza ha battuto la sua ora…”. Recita così un passo di un noto brano musicale degli anni ’60 dal titolo, “L’ora dell’amore”, versione italiana della celeberrima “Homburg” del gruppo musicale i Procol Harum, portato al successo in Italia dai Camaleonti. Anche l’orologio pubblico di piazza Libertà ad Acate, sistemato su una delle due torri campanarie della Chiesa Madre, ha ripreso, da qualche giorno, a “battere le sue ore”, indubbiamente non solo, “ore d’amore” ma più genericamente, “ore di ordinaria quotidianità”. La ripresa dello scandire del tempo che passa, purtroppo in modo inesorabile, si deve all’intuito ed all’amore per ciò che riguarda il passato e le tradizioni della piccola cittadina iblea, dell’ingegnere informatico Giovanni Re, attualmente in vacanza ad Acate e dei suoi amici Mario Fontanarosa e Sergio Spada. “Ad Acate- racconta l’ing. Re- mio paese di infanzia, tutto sembra essersi fermato, compreso l’orologio della piazza che da due anni segnava imperterrito le due e trenta. Quando mi trovavo seduto nella veranda della mia casa di infanzia e alzavo gli occhi  per vedere l’ora, non so se era più  grande il fastidio di non sapere l’ora esatta o quello di essere intrappolato nella dilagante accettazione di chi pensa che le cose non possano essere cambiate”. “Appena rientrato da un fantastico meeting a Boston,  al MIT- continua il racconto dell’ing. Re- mentre ero seduto a gustare una granita, gli occhi sono andati subito all’orologio e questa volta, carico delle attività e dell’ impegno degli amici makers, ho deciso che fosse  arrivato il momento di far funzionare l’orologio. Alle 22.30 di un afoso sabato  sera, quindi, ho scritto un post su Facebook per capire come muovermi. Le prime risposte legate alla analisi del problema variavano dal fulmine, stile ritorno al futuro, al perno mancante, ad argomentazioni sentite dal cugino del cugino. Alcuni amici, pertanto, si sono offerti di aiutarmi, compreso il parroco, don Giuseppe Raimondi, il quale ha dato la sua disponibilità anche se, pur essendo ubicato nella Chiesa Madre, l’orologio è  gestito dal Comune. Serviva, quindi, la chiave della torre campanaria. Dopo alcune  telefonate, insieme a Mario e Sergio, un paio di amici che hanno voluto seguirmi in questa avventura, siamo riusciti a salire sulla torre per capire cosa fosse successo all’orologio. Dopo esserci arrampicati su per una ripidissima  scala ci siamo ritrovati al termine dei gradini, senza l’ombra dell’orologio. Bisognava, infatti, uscire e salire su per  un altra scaletta esterna per poter arrivare alla porticina che custodisce una meravigliosa macchina meccanica con alcuni automatismi elettrici, della ditta “Roberto Trebino”  di Uscio, in provincia di Genova. È  bastata, quindi, una piccola spinta al pendolo, partita dal dito di Mario, per risentire il rumore del ticchettio che era preludio di una serie di rotazioni di ruote dentate che hanno ridato  vita alle lancette dei due grandi quadranti. Una buona lubrificazione  e l’analisi dei meccanismi  ci ha fatto godere di alcuni rintocchi che, anche se per alcuni possono essere fastidiosi,  sono l’unico modo per trasferire la sensazione del tempo che passa, dalla vista all’udito e per noi che eravamo in quel piccolo spazio, il riuscire a percepire il tempo anche con il nostro corpo. La vista era magnifica ma ancora più magnifica la sensazione finale, quella di affacciarsi dal balcone di casa e vedere l’ora esatta dall’ orologio del paese”. “Spero solo che questa piccola attività svolta in maniera autonoma- conclude l’ingegnere Giovanni Re, al termine del suo dettagliato racconto- sia un campanello di allarme, una sorta di sveglia per tutti coloro che sono rassegnati e pensano che le cose sono ormai così, che c’è sempre qualcuno che potrebbe farlo al posto loro e ti dicono: chi te lo fa fare? Mi piacerebbe, pertanto, che queste persone riuscissero a capire che oggi è  importante mettersi in gioco a prescindere da tutto e da tutti  e che se vogliamo che qualcosa cambi prima di dire che è  impossibile, alziamo lo sguardo, guardiamo l’orologio perché  adesso è l’ora giusta per farlo”. Questa la storia recente dell’orologio pubblico di Piazza Libertà, relativa all’A.D. 2015. Ma ritorniamo indietro nel tempo per cercare di ricostruire la “storia originaria” dell’orologio, partendo dal “vecchio orologio” di Biscari (antico nome di Acate). Un orologio, famoso in tutta la Sicilia per la sua “imprecisione”, tanto che, quando si voleva offendere bonariamente una persona, si usava dire “raggiuni comu u ralòggiu do Viscari” (ragioni come l’orologio di Biscari). Da qui la necessità di avere un nuovo orologio “attendibile” in quanto quasi tutta la vita del paesino era caratterizzata e regolata dai “tocchi” dell’orologio pubblico perché nessuno del popolo ne possedeva uno personale. I bambini per recarsi a scuola attendevano i “tocchi” della campana della Chiesa Madre, ma il sacrestano, non funzionando bene l’orologio pubblico, non poteva regolarsi a dovere. I contadini prima di avviarsi nelle campagne limitrofe avevano bisogno di sapere che ora fosse; così come le loro mogli avevano la necessità di conoscere l’ora esatta per regolarsi nel preparare il pranzo o la cena, stessa necessità che avevano gli artigiani per organizzare il lavoro nelle loro botteghe. L’orologio pubblico, quindi, rappresentava un elemento fondamentale nel regolare la vita lavorativa, spirituale e sociale del paesino. Nel 1897, il consiglio comunale di Biscari diede incarico all’ingegnere acatese Arcangelo Di Geronimo di redigere un progetto per la costruzione nella Chiesa Madre di una torre per orologio pubblico, progetto approvato il 20 agosto per un importo di lire 2.180,79. Nella seduta del 3 gennaio 1897, il consiglio comunale si esprimeva così, in merito all’orologio: “ Ritenuto che l’orologio qui esistente è proverbiale e qualsiasi acconcio è denaro buttato al vento; ritenuto che la massa, la quale non ha il bene di possedere un orologio, non ha altra regola che quella comunale, tanto più per l’usanza del Comune ove i lavoratori ritornano a pernottare ogni sera, l’orologio è la loro norma; ritenuto che l’acquisto di un orologio da torre viene reclamato dall’intera cittadinanza…la quale cittadinanza vedesi costretta a soffrire ancora i proverbi popolari canzonatori comunissimi in tutta la Sicilia: strambo come l’orologio di Biscari….a voti unanimi per alzata e seduta, Delibera…di dare mandato alla giunta ed al sindaco di trattare per un nuovo orologio con una fabbrica che si contenti di pagamenti annuali” (Piero Occhipinti:”Biscari Primo ‘900- parte prima-1895-1950”). Il 18 luglio del 1898 venne stipulato un contratto d’appalto, per la costruzione di una Torretta da Orologio, tra il sindaco dell’epoca Giacomo Albani e gli artigiani Nuccio Gaudenzio e Francesco Pluchino (Atto n.131- 4 agosto 1898). Il 3 marzo del 1899 il consiglio comunale approvava l’acquisto di “una macchina d’orologio da torre”. “Una macchina orologio lungo metro uno e centimetri settanta, largo metri 0,50, alto metri 0,69, capace a far battere le ore ed i quarti sopra una campana di trecentocinquanta chili una con ruotismo tanto del movimento e della suoneria d’ottone e bronzo. Suonando le ore e mezze e ripetizione delle ore. Grande suoneria ore e quarti a 4 cilindri per i pesi di carica 30 ore, suonando la meridiana, il mezzogiorno, la scuola, la ritirata, la mezzanotte ecc….due quadranti trasparenti del diametro di metri 2… le sfere come si desiderano nere o quadrate…il prezzo di detto orologio si è di lire 2.200,00, oltre di quanto segue: due quadranti luminosi trasparenti a lire 400 l’uno, la campana a lire 3,55 al kg.” (dal progetto presentato dal signor Bonafede Angelo di Chiaramonte Gulfi, rappresentante della ditta Fontana Cesare di Milano per una spesa complessiva di lire 4.665. Piero Occhipinti: opera citata). Successivamente un’altra ditta, la “Uccelli” di Milano presentò una offerta minore all’amministrazione comunale dicendosi disposta a consegnare una macchina da orologio per la somma di lire 3.613. Il 9 gennaio del 1900, una volta edificata la torretta, venne stipulato, pertanto, un contratto a trattativa privata, sempre tra il sindaco Giacomo Albani e la ditta “Sommaruga” di Federico Uccelli da Milano, per l’acquisto di una “Macchina d’Orologio da Torre” e i necessari accessori per un importo finale di lire 3.200. Quello stesso orologio che, seppur modificato nel tempo per l’edificazione della nuova facciata della chiesa Madre, ancora oggi fa bella mostra di se su una delle due torri campanarie della Chiesa. (Foto di Giovanni Re)

 

 

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