Vittoria. 21 novembre 2020
Un’altra giornata triste oggi, una giornata che sommata a quelle precedenti, dovrebbe fare riflettere molto sulle gioie e i dolori che la vita ci riserva.
Si allunga la lista dei morti a Vittoria, così come accade in tutta Italia e nel mondo, ovviamente il nostro provincialismo, il nostro essere tutti o quasi tutti conoscenti, ci induce a immedesimarci di più nelle tragedie che ci colpiscono. Oggi è stata la volta del dottore Rosario Guastella, un farmacista che da moltissimi anni gestiva la sua attività sanitaria a Forcone, dove per tutti non era “u dutturi” ma l’amico a cui rivolgersi per chiedere consigli. Ultimamente altri amici sono “partiti” per il viaggio che non consente di tornare indietro: Gianni Molè, l’amico e collega giornalista; Angelo Scuderi, un uomo mite di Scoglitti conosciuto da tutti; Tina Martorana, originaria di Roma ma da mezzo secolo residente a Vittoria, Gianni Russo, infermiere presso l’ospedale di Vittoria e tantissimi altri ancora, che hanno lasciato un grande vuoto intorno a chi rimane.
Spesso ci appelliamo all’atavica “credenza” che sia l’anno bisestile a produrre queste tragedie, come quella del Covid, che sta seminando milioni di vittime. Una sorta di scarica barile che ci induce, per convenienza, ad addebitare al destino cinico e crudele, tutto quello che accade.
Il destino ovviamente ha il suo peso, ma spesso il destino ce lo creiamo noi con i nostri modi di fare, i comportamenti, la spocchia con cui trattiamo determinati argomenti, anche quelli che sono causa di morte. In tutti i casi precedentemente da me citati, tutti e ribadisco, tutti, sono stati vittime del destino, nessuno di loro era negazionista, tutti rispettavano le misure di sicurezza previste, ma evidentemente il loro destino lo hanno stabilito altri, coloro i quali continuano a negare, seppur con la consapevolezza di essere soggetti positivi, escono, frequentano, girano, incontrano e lasciano dietro una scia di dolore e morte.
Solitamente quando scrivo, lo faccio con cognizione di causa, non lascio nulla al caso o alla fantasia. Cosa pensereste se vi raccontassi di due giovani in auto, presso i locali della fiera Emaia, che stavano effettuando i tamponi; uno positivo e l’altro no, che dopo l’esito, il positivo, mentre andava via ripeteva ad alta voce: -se e chi staiu a casa? –
Chissà quanti di questi sono in giro, chissà quanti si sono imbattuti casualmente nelle persone che sono morte o che adesso lottano con la morte, soli, in un reparto di ospedale dove altri uomini e altre donne, rischiano la vita propria e quella delle loro famiglie.
Il destino è stato crudele, poveretto, chissà come ha contratto il virus. Così lo ha contratto.
E ancora oggi, vedo in giro gente adulta con la mascherina al collo talmente sporca da fare venire il voltastomaco, che gira indisturbata “pretendendo” di varcare la soglia di farmacie, tabacchi, supermercati, mercerie, pescherie, macellerie e chi più ne ha più ne metta.
I morti sono morti, chi se ne frega, se li piangono i familiari, no, non è così, non può e non deve essere così, esiste una norma sin dalla prima fase della pandemia, che impone il fermo da parte dell’autorità giudiziaria, per chi, positivo, va in giro. Questo compito di controllo, l’Asp ha il dovere di svolgerlo e poi segnalare alle autorità competenti, naturalmente i controlli non possono essere affidati a medici e infermieri che già sono stremati, ma il personale amministrativo va utilizzato anche per questo.
Considerate questa mia affermazione, una pubblica denuncia, la prima, se non vedo risultati, tornerò alla carica.
Le riflessioni alla fine sono d’obbligo.
Spesso mi chiedo come sarà quando…non trovo risposte, da un po’ di tempo mi chiedo se indosserò un abito o se dovrò partire dentro un sacco verde, senza i familiari e gli amici, per chi crede, senza il passaggio da una chiesa e la santa benedizione.
Sembra strano, ma è così, ad una certa età questi pensieri sono sempre più frequenti, in tempo di Covid, anche l’abito è vietato, si sta da soli in ospedale, si soffre da soli, si muore da soli, si “parte” da soli.
Spetta a noi decidere se affidare al destino nostro o a quello che stabiliscono gli altri, la nostra permanenza, seppur breve, su questa terra.
Vi invito ancora una volta, l’ennesima, a mettere da parte l’arroganza, la tracotanza, la convinzione di essere immortali e indistruttibili, abbiate rispetto per gli altri, tutti dobbiamo morire, ma cerchiamo di arrivare al traguardo della vita serenamente e senza sofferenze atroci.

Di Giovanni Di Gennaro

Nato a Vittoria il 14 giugno 1952; completati gli studi superiori presso l'Istituto Magistrale di Vittoria, negli anni 70, anni in cui erano in servizio, docenti quali: Bufalino, Arena, Frasca, Traina e tanti altri nomi di prestigio, si iscrive a Roma presso la Facoltà di Psicologia. Non completa gli studi universitari e non consegue il diploma di laurea, in quanto nel 1973, viene assunto presso la ex Cassa Centrale di Risparmio V.E. Da sempre si considera più sindacalista che bancario, infatti, già nel 1975, diventa dirigente sindacale. Allo stato attuale, è Segretario Provinciale della FABI, il Sindacato più rappresentativo di categoria, e, inoltre, è componente del Dipartimento Comunicazione e Immagine del Sindacato, che pubblica un mensile: La Voce dei bancari. (150.000 copie al mese). Nel 1978, inizia a collaborare con il Giornale di Sicilia, per cui lavora fino al 1994. Si iscrive all'Ordine dei Giornalisti nel gennaio del 1981. Per oltre 20 anni, collabora con Radio-Video-Mediterraneo e con altre emittenti locali, regionali e nazionali. Dal 1996 ad oggi, collabora con La Sicilia. Dal 1997 al 2004 è corrispondente Ansa da Vittoria , Ragusa e provincia.  Direttore Responsabile di periodici, ultimo in ordine di tempo: Il Mantello di Martino, molti lo considerano "specialista" di cronaca nera.  Sempre attento alle vicende politiche, economiche, giudiziarie, riesce ad essere un attento osservatore e un apprezzato cronista.

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