L’allarme del Prof. Vanacore (neuroepidemiologo) a Radio Cusano Campus: “Rischio di ammalarsi di Sla 12 volte più elevato nei calciatori italiani. Doping? Può essere uno dei fattori, così come l’abuso di farmaci antinfiammatori”
La Sla ha fatto un’altra vittima nel calcio, si tratta di Paolo List, 52 anni. Soltanto l’ultimo dei tanti casi di ex calciatori italiani che si sono ammalati di Sla. Il Prof. Nicola Vanacore, neuroepidemiologo del Centro Nazionale di Epidemiologia e Sorveglianza della Salute dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma e autore di uno dei due studi epidemiologici su “Calcio e Sla” commissionati dal procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Genetica oggi” su Radio Cusano Campus, emittente dell’Università Niccolò Cusano (www.unicusano.it).
“Dalla nostra ricerca –ha spiegato Vanacore- è emersa una forte associazione tra il calcio e il rischio di ammalarsi e di morire di Sla, quello che noi osservammo fu un rischio 12 volte superiore rispetto alla popolazione generale italiana. Noi abbiamo trovato questo dato che non è stato confutato, cioè altre persone non l’hanno smentito. Ora, sui motivi di questa associazione tra la Sla e il calcio bisognerebbe condurre una ricerca più mirata, ma in questi ultimi 11 anni non è mai stato fatto. Più che dire che il calcio causa la Sla, bisogna capire che cosa è accaduto nel mondo del calcio. Sicuramente i calciatori italiani hanno un rischio molto elevato di morire di questa malattia. Sappiamo che anche chi fa altri sport si può ammalare di Sla, ma non si raggiunge questo livello. Ci sono altri due fenomeni importanti per quanto riguarda i calciatori italiani che si ammalano di Sla, cioè si ammalano in età più giovanile rispetto a quando la Sla si presenta nella popolazione generale. Questo fa pensare che il processo neurodegenerativo è più accelerato. E poi sono tutti casi sporadici, cioè non ci sono altri casi di Sla nelle famiglie di questi calciatori. Doping? Queste malattie sono multi fattoriali. C’è sicuramente una base di suscettibilità genetica, a questa si sommano fattori di tipo ambientali. Di ipotesi ne sono state fatte molte, anche legate al doping e all’eccessivo utilizzo di farmaci antinfiammatori. Bisognerebbe condurre una ricerca mirata per comporre i vari tasselli di questo mosaico”.