Sicilia. 08/04/2018
Sicilia, la “regione più povera d’Italia e terzultima in Europa”. Così l’isola è definita in un comunicato stampa della presidenza della Regione. Che dice la verità.
Il motivo per cui abbiamo deciso di farne lo spunto iniziale di questo articolo infatti non è quello di contestare il dato o dissentirne in qualche modo. Tutt’altro.
Esso è riportato in relazione al contesto di gravissima crisi dell’agricoltura siciliana, tanto più forte e drammatica nei settori – come le colture in serra – che un tempo ne rappresentavano la punta avanzata e il principale fattore di sviluppo.
L’occasione è stata fornita dall’incontro, pare senza precedenti, tra il presidente della regione e i parlamentari europei eletti nella circoscrizione Sicilia-Sardegna. Iniziativa frutto dell’impegno assunto da Musumeci lo scorso 23 marzo a Vittoria nei confronti dei produttori stremati e arrabbiati.
Che la Sicilia sia “la regione più povera d’Italia” appare una di quelle stranezze bizzarre cui sarebbe impossibile trovare una spiegazione logica se essa non risiedesse nella fuga dalla logica.
La Sicilia è infatti “la regione più povera d’Italia”, pur essendo naturalmente – per dotazione storica e ambientale – la più ricca.
Se da regione più ricca diventa la più povera la spiegazione è solo nell’opera, dissennata e – appunto illogica – dell’uomo; o meglio del cittadino come cives politicus, ovvero come membro della comunità che tradisce e calpesta il bene comune di cui egli è contitolare.
Perché infatti la regione nettamente più ricca per dotazioni naturali (paesaggistico-ambientali e storico-culturali) dovrebbe ridursi a diventare la più povera se non per effetto dell’incuria, o di una vera e propria azione distruttiva, di tale ricchezza originaria?
Un riflesso di tale condizione si può cogliere anche sul terreno specifico dal quale siamo partiti, ovvero la crisi agricola.
Vero è che in questo campo agiscono fattori e dinamiche europee e globali, ma è anche vero che esse hanno potuto devastare l’oro verde così ingegnosamente generato oltre mezzo secolo fa da una generazione di produttori intraprendenti, nel vuoto assoluto della politica regionale e nella rinuncia totale ad ogni iniziativa capace di governare un processo difficile, dopo gli anni del boom.
Difficile dire se potrà derivare un qualche risultato dal tentativo di fare dialogare l’istituzione regionale con i rappresentanti territoriali nel parlamento europeo. Sei – quattro siciliani, Pogliese, la Viua, Giuffrida e Corrao, e due sardi, Soru e Cicu – i deputati di Strasburgo presenti, insieme all’assessore alle politiche agricole, Edy Bandiera, e ai dirigenti generali dei dipartimenti regionali dell’agricoltura, Carmelo Frittitta, e degli affari extraregionali, Vincenzo Falgares.
Musumeci ha chiesto a tutti “un’azione compatta e comune, con una forte interlocuzione con l’Unione europea su obiettivi precisi, che possa servire a rilanciare l’economia della Sicilia, la regione più povera d’Italia e la terz’ultima in Europa”.
Tutti hanno risposto dichiarando piena disponibilità. Il che non significa nulla ma, per il momento, in attesa degli eventi, può apparire meglio di niente.