Redazione Due, Ragusa 16 maggio 2015.- Ciò che la storia dei secoli scorsi ci racconta sulle deportazioni degli abitanti africani presso il nuovo mondo, ciò di cui tanta narrativa e arte cinematografica ne hanno fatto un emblema del pubblico ludibrio mettendo a nudo le più bestiali passioni, ciò che insomma è una vera e propria azione indegna di ogni essere umano vive tra noi, nel nostro piccolo quotidiano, in realtà sicuramente misere ma che sono proprio attigue alla nostra vita. È il caso della segregazione di alcune donne straniere, fuggite dal loro paese per inseguire la vita, che sono state prese prigioniere non dagli aguzzini africani del loro paese da cui sono scappate, ma da “persone” che vivono nel nostro mondo civilizzato ed evoluto. Questi odierni “mostri”, approfittando della realtà confusamente democratica del nostro paese hanno avuto la possibilità, la volontà e la più perfida capacità di agire indisturbati nell’esercizio dello schiavismo moderno. Pochi giorni fa, nella città di Comiso in provincia di Ragusa sono state letteralmente sequestrate ai fini del riscatto donne anche minorenni! Ragazze,costrette alla sudditanza da altri, solo perché non c’è alcuno ente/persona/istituzione che possa garantire loro i diritti umani in territorio italiano! Diamo significato alle parole. Proprio cosi! Oggi si deve urgentemente parlare di schiavismo congenito, legato al bisogno della speranza nella vita e di contro strettamente congiunto a delle prassi contorte che piano piano si inseriscono nel nostro sentire, quasi come inevitabili conseguenze della fragilità sociale dello straniero appena sbarcato. Attenti! Tante epoche ormai andate, nel tacito perbenismo ed egoismo conservatore, hanno visto e mutuato orrori di cui oggi INDISTINTAMENTE tutti ci vergogniamo. È il momento in cui lo Stato deve far sentire la sua Presenza, la sua Azione. Basta con le perplessità e gli interminabili confronti sul tema immigrazione. La gente MUORE. E davanti all’incapacità di garantire la vita, il nostro sentirci italiani deve esplodere nel prendere atto che abbiamo innanzi tutto il problema della sopravvivenza. Questa, la sopravvivenza, è una dimensione che attecchisce in ogni essere vivente, italiano o straniero. Che vita è quella dell’italiano se vede il suo vicino dirimpettaio legato alla catena?