Pozzallo. 21 dicembre 2017
Di Luca Di Natale
In meno di un mese due ministri hanno fatto tappa a Pozzallo per affrontare temi e problemi vissuti con sofferenza dalla città di frontiera che, dopo Lampedusa, è la principale porta d’accesso in Europa per milioni di profughi e migranti che fuggono dalla guerra e dalla miseria.Martedì 19 dicembre, è stata la volta di Graziano Del Rio, ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture. Il 25 novembre scorso era toccato a Marco Minniti, ministro dell’Interno.Entrambi hanno rimarcato di essere venuti nella città di Giorgio La Pira, pozzallese di umili origini, padre Costituente (sua, tra le altre, la formulazione dell’art. 2 sui diritti inviolabili dell’uomo, non solo come individuo ma come cuore pulsante di formazioni sociali e della comunità), protagonista della politica mondiale degli anni ’50 e ’60 e ambasciatore instancabile della pace e della fratellanza nel mondo.
Del Rio si è detto orgoglioso di essere a Pozzallo per ringraziare il sistema Italia dell’accoglienza, nella terra del sindaco santo di Firenze e ha rilevato che Pozzallo ha accolto cinquantamila migranti, dimostrando profonda predisposizione all’accoglienza, in linea con l’azione di Giorgio La Pira che proprio a Pozzallo è nato.Minniti, che a Pozzallo era giunto il mese scorso proprio per partecipare ad uno dei momenti di commemorazione di La Pira nel quarantesimo anniversario della morte, nell’occasione lo ha ricordato definendolo un grande italiano, profeta disarmato del dialogo e della convivenza pacifica tra i popoli e ha poi scoperto una targa nei pressi del porto.Il luogo prescelto in cui il ministro ha voluto fisicamente svelare il messaggio di La Pira è lo spazio fisico in cui giungono migliaia di disperati, spesso in condizioni disumane non solo per le fatiche, gli stenti e le privazioni, ma soprattutto per le violenze anche fisiche e le torture che devono subire. E sono già “fortunati” rispetto a tantissimi altri cui tali violenze e torture durante la permanenza in Libia sono così brutali da provocarne la morte prima dell’atteso viaggio, pagato in anticipo con tutti i propri averi, verso il “nuovo mondo”.Non potrebbero essere più diversi tra loro Del Rio e Minniti, seppure entrambi richiamati dal messaggio di La Pira.Il ministro dei Trasporti fino al ’99 non è neanche consigliere comunale nella sua città, Reggio Emilia. Medico, padre di nove figli, cattolico di intensa osservanza, votato al sociale, comincia l’impegno politico nel Ppi, quindi Margherita e poi Pd. Il ministro dell’Interno, figlio di un generale dell’aeronautica, fin da giovane militante e dirigente del Pci, e dopo del Pds, tra poco potrà festeggiare vent’anni di quasi ininterrotta esperienza di governo (negli esecutivi D’Alema, Amato, Prodi, Letta, Renzi, Gentiloni) sempre nei campi della sicurezza, della difesa, dei servizi segreti dove matura un curriculum di “uomo forte”. E’ lui a varare il 31 luglio scorso il codice per le Ong e, quattro mesi prima, a stipulare l’accordo con una delle autorità di Tripoli e con i capi di sessanta tribù libiche per chiudere i flussi migratori a Sud – da Algeria, Niger e Ciad – e affidare alla guardia costiera il controllo del Mediterraneo. Con tutte le conseguenze che abbiamo visto e che anche a Pozzallo, proprio chi pratica quell’accoglienza che Minniti loda, deve toccare con mano. E proprio Del Rio, suo collega di governo, si scontra duramente con lui quando impone il codice alle Ong che rischia di escludere mezzi ed energie preziose nel salvataggio di vite umane, ed è tra i promotori, mesi fa, dello sciopero della fame per la rapida approvazione della legge sullo ius soli. Per tornare a Minniti, proprio quel 25 novembre rappresentanti dell’associazione Medu (medici per i diritti umani) consegnano al ministro in visita all’hotspot di Pozzallo una lettera contenente alcune tra le più drammatiche testimonianze, ben 2600, che i medici hanno raccolto dai profughi e migranti giunti proprio dalla Libia sulla sponda iblea. Un “dossier” terrificante per la gravità, l’intensità e la “normalità” delle torture praticate in Libia in esecuzione, o comunque in seguito, a quell’accordo.Sempre quel giorno a Pozzallo Minniti rompe due volte il protocollo e si alza dal tavolo per baciare due giovani che lo hanno accolto con calore, Alissa, italiana, e Khaula, marocchina, e poi per abbracciare il medico marittimo Vincenzo Morello che da anni ha il suo “ambulatorio” all’aperto sulla banchina del porto, sempre pronto a qualunque ora del giorno e della notte a salvare la vita o ad alleviare le sofferenze di tanti migranti stremati, spesso donne e bambini.Del resto, accogliendo il ministro a Pozzallo, il sindaco Roberto Ammatuna gli si rivolge con queste parole: >.Sulle ultime parole si può certamente essere d’accordo. La Pira, già nel ’52, in piena “guerra fredda” organizza il “Primo Convegno internazionale per la pace e la civiltà cristiana” da cui ha inizio un’attività, unica in Occidente, tesa a promuovere contatti vivi, profondi, sistematici tra esponenti politici di tutti i Paesi. Nel 1955 i sindaci delle capitali del mondo a palazzo Vecchio siglano un patto di amicizia. A partire dal 1958 organizza i “Colloqui mediterranei” cui partecipano, tra gli altri, rappresentanti arabi e israeliani. Nel 1959 La Pira parla a Mosca al Soviet supremo, dopo il benestare papale ma non del governo italiano, in difesa della distensione e del disarmo.Negli anni difficili della crisi tra Stati Uniti e Unione Sovietica riesce a fare riunire la nona sessione della tavola rotonda Est-Ovest sul disarmo, a Firenze dove, durante la guerra del Vietnam, organizza un simposio dal quale venne lanciato un appello per la pace. Ancora, compie un viaggio ad Hanoi facendo tappa a Varsavia, Mosca, Pechino, riuscendo ad ottenere una proposta di pace che naufraga per un’anticipazione sui giornali statunitensi.A Palazzo Vecchio riceve un rappresentante della Repubblica Popolare Cinese inviato da Pechino con una battuta che vale molto più di un trattato: >. Allora l’Italia riconosce solo Taiwan come unico governo legittimo cinese, mentre Giorgio La Pira, appena diventato professore ordinario di diritto, nel ’39, fonda la “Messa di San Procolo” per l’assistenza materiale e spirituale dei poveri. In quel momento, piccolo sindaco di una non grande città, ma autentico gigante della politica mondiale, Giorgio La Pira sferza lo Stato italiano a fare cadere i muri eretti dalla “guerra fredda” e pone le basi per una svolta, l’accordo Reagan-Gorbaciov dell’87, che egli, morendo dieci anni prima, non potrà vedere. Nel ’67 è eletto presidente della Federazione Mondiale delle Città Unite con lo slogan “Unire le città per unire le nazioni”. Dopo la guerra dei sei giorni visita Hebron, Gerusalemme, l’Egitto. Ha lunghi colloqui con il ministro degli esteri di Israele Abba Eban, con il presidente egiziano Nasser e con i sindaci di Hebron, di Betlemme e i rappresentanti palestinesi di Gerusalemme est nella Cisgiordania occupata. Si adopera attivando ad ogni livello le istituzioni di tutto il mondo (città, regioni, stati) perché si organizzino incontri al vertice in materia di disarmo, pace e sicurezza. Spende continuamente ogni energia, anche fisica, in quella che chiama “arte della pace”. Nel 1965 si reca in Vietnam e prepara con Ho Chi Minh una bozza di accordo bilaterale che potrebbe far cessare la guerra. Il presidente Usa Johnson la rifiuta, salvo dovere accettare anni dopo condizioni più dure di quelle che la Pira riesce ad ottenere dalla controparte vietnamita. Anni dopo, captato il pericolo, va in Cile per incontrare Salvador Allende, il primo presidente marxista eletto democraticamente, e dargli consigli e suggerimenti su come superare pericoli e tensioni. Il 14 settembre ’73, tre giorni dopo il colpo di Stato in cui il presidente cileno viene deposto e ucciso, sfida il dittatore Pinochet con parole nette e dure: >.
Sempre proteso verso la pace e la fratellanza tra i popoli, Giorgio La Pira lavora tutta la vita per un mondo nuovo e perciò parla ai giovani: > dice in un discorso nel ’68.In quel momento sono certamente giovani, anche troppo, sia Del Rio, che ha appena 8 anni, che Minniti, 12.Entrambi entrano certamente nel “mondo nuovo” cui La Pira dedica ogni fatica della sua esistenza senza mai diventare ministro (solo sottosegretario, al Lavoro). E lo fanno con biografie, carriere, storia di impegno politico, sensibilità, coscienza, idee programmatiche totalmente diverse.
Ma Giorgio La Pira, il “sindaco santo”, può riuscire nel miracolo di far loro dire le stesse cose e di farli essere, o sembrare, uguali.
Almeno per un giorno. A Pozzallo.
Luca Di Natale