“Diamantina: La ragazza del campanile”. Racconto breve di Giovanna Carbonaro.
Giovanna Carbonaro, Acate (Rg), 12 agosto 2021.- Un campanile, una luna piena rosso sangue, il latrato di un cane e alla fine delle urla… Poi un tonfo nel vuoto e nulla più se non un nome urlato : “Diamantina!!! Diamantina!!!”. Mi svegliai di colpo con il cuore in gola. Guardai la sveglia. Erano solo le cinque del mattino. Che stupida! Come i bambini avevo fatto un brutto sogno. Tranquillamente richiusi gli occhi, abbandonandomi al sonno, inconsapevole degli accadimenti che di lì a poco avrebbero sconvolto la mia giovane vita. Ma notte dopo notte l’incubo continuò a ripetersi. Ogni volta sempre più ricco di dettagli, che puntualmente la mattina successiva dimenticavo. Ma una notte, una notte di plenilunio non fu così. Diamantina prese un volto. Pallida come la morte, dai lunghi capelli neri e dalle labbra infuocate, magra all’inverosimile, correva risalendo delle scale, inseguita da qualcuno che per un attimo riuscì ad afferarle il braccio. Poi un tonfo nel vuoto e un nome urlato: “Diamantina!!! Diamantina!!!”. Mi svegliai di botto. Era solo un incubo. Al solito. Ero inquieta quei giorni. Avevo diciassette anni e tutti i turbamenti di quell’età. Lo studio, lo sport, gli amici, il ragazzo occupavano il mio tempo. Potevo essere definita come una ragazza fortunata perchè nulla mi mancava. Ero anche di bell’aspetto ma un’ inquietudine mi accompagnava sempre. Da piccola giocavo con un’amica immaginaria. La chiamavo D. I miei si preoccuparano a tal punto da portarmi da uno psicologo, che puntualmente li tranquillizzò, dicendo che era normale per una bimba fantasiosa come me. Ed era vero. Ero molto fantasiosa. Mi piaceva inventare storie e scriverle. Soprattutto se c’erano fantasmi e storie d’amore tragiche. Di D non ricordo nulla. Ma va bene così. Alzatami dal letto, entrai in bagno e mi infilai frettolosamente in doccia. Appena aprii l’acqua rimasi impietrita. Essa era rosso sangue e sul mio braccio destro comparve un’impronta di mano, come quella che nel sonno aveva afferrato Diamantina. Pensai stessi ancora sognando e scrollai la testa. In un attimo l’acqua ritornò limpida e l’impronta scomparve. Cosa mi stava succedendo??? Sognavo ad occhi aperti ormai? Qualcosa in cuor mio mi diceva che c’era qualcosa di strano. Ma non sapevo cosa fosse. Quella mattina decisi di non andare a scuola e di recarmi nella biblioteca che sorgeva all’interno di un vecchio convento. Perchè questa decisione? Perchè vecchie leggende di paese narravano che nel convento c’era il fantasma di una donna che da secoli vagava tra le mura senza pace. Che Diamantina fosse quel fantasma? In effetti correva lungo delle scale e saliva in cima a qualcosa. Ma cosa??? La mattina non ricordavo nulla dei sogni. Spaventata ma decisa a far luce sulla vicenda, finalmente mi recai al convento. “Buongiorno Arianna! Ma non dovresti essere a scuola?” – mi chiese il vecchio bibliotecario.
“Sì… Ma la mia prof di storia vuole che io faccia una ricerca sulle leggende del nostro paese….” – confusamente risposi.
“Ah! C’è una sezione apposita nell’ala vecchia…Segui le indicazioni…”.
Il vecchio bibliotecario mi lasciava andare sola perchè io in quella biblioteca c’ero cresciuta. Quanti giorni estivi passavo lì a leggere. La conoscevo bene. Mi diressi verso l’ala vecchia. Ad un certo punto un soffio freddo mi raggelò il sangue. Dinnanzi a me c’era Diamantina. Pallida e magra come in sogno.
“Cara non spaventarti…Sono la tua D…”.
“La mia D???”.
“Sì…Ricordi quando eri piccola? La tua D ero io…”.
“Ma quindi non eri fantasia???”
“No…Ero un fantasma ma tu riuscivi a vedermi…”.
Rimasi di sasso. Non ero pazza. D era reale. La donna pallida mi indicò allora un muro che non era stato restaurato come gli altri e in un attimo scomparve. Cosa c’era in quel muro? Iniziai a scrutarlo quando vidi una pietra incastrata male. Provai a rimuoverla con tutta la forza che avevo. La rimossi e caddero alcune lettere. Frettolosamente le raccolsi e li misi nello zainetto. Mi congedai dal bibliotecario e subito corsi a casa. Le lettere erano in pergamena e scritte in latino. Mi misi sul letto e iniziai ad esaminarle. Ero iscritta al liceo classico fortunatamente e il latino lo masticavo bene. In totale erano dodici. Le date riportate indicavano che l’autore ne scriveva una ogni mese. L’anno domini era il 1740. Non erano lettere d’amore, come romanticamente avevo pensato, ma piccole lezioni di varia natura. Lo scrivente si firmava come Marcus. Ma cosa c’entrava Diamantina con tutto questo? Era tutto così misterioso…Passarono i giorni e non ci furono fatti eclatanti…Di Diamantina nessuna apparizione…Io ero sconvolta: pensavo di stare diventando matta. Allora mi proposi di non pensare più a questa storia. E fu così che ritornò la calma. La notte non avevo più gli incubi. Ma il mese successivo, la notte di luna piena, ecco che il solito sogno si presentò, stavolta più vivo che mai. Il risveglio fu però nel cuore nella notte. E accanto a me c’era Diamantina.
<<Non aver paura… Non ti farò del male…Sono la tua Diamantina e mi occorre il tuo aiuto…>>.
La guardai stupita e al tempo stesso terrorizzata. Non ero pazza. Diamantina era di fronte a me e io riuscivo a vederla e a sentirla.
<<Mi chiamo Diamantina e sono una fanciulla di Biscari. La mia è una storia d’amore e di sfortuna. A quindici anni, per mano di colui che amavo, caddi dal campanile del convento e da trecento anni vago tristemente su questa terra in cerca di pace…>>. Diamantina iniziò a raccontarmi la sua storia. Lavorava come serva al convento (dove ora sorgeva la biblioteca che frequentavo) e un giorno dal Nord arrivò un frate cappuccino giovane e bellissimo, padre Marco. I due si innamorarono follemente e iniziarono una relazione amorosa in gran segreto. Si vedevano una sola notte al mese, nella notte di plenilunio. Il tutto durò un anno perchè durante la tredicesima notte di plenilunio Marco uccise inspiegabilmente la bella Diamantina.
<<Perchè ti ha uccisa se ti amava?>> chiesi io stupita.
<<Non lo so…Devi aiutarmi a scoprirlo. Solo così la mia anima troverà pace>>.
<<Ma perchè quelle lettere?>>.
<<Sono delle lezioni…Marco voleva istruirmi…Non mi parlava solo d’amore…Ma delle meraviglie del creato…E della scienza….E dell’arte…Lo amavo da morire…>>.
Singhiozzando la figura di Diamantina scomparve. Si fece giorno. Ero sconvolta. Ma dovevo aiutare Diamantina. Iniziai a fare delle ricerche in biblioteca e a chiedere agli anziani del paese se ricordassero qualcosa. E fu così che scoprii una leggenda che si tramandava di generazione in generazione. C’era un frate che si era innamorato di una bella fanciulla del luogo e che una notte di luna piena in preda alla follia l’aveva spinta giù dal campanile. Il frate era stato poi giustiziato per l’orrendo delitto. E non era solo una leggenda. In biblioteca negli annali trovai una pagina che narrava di un frate che nel gennaio del 1741 era stato impiccato poichè si era macchiato di omicidio. Tutto allora corrispondeva. Ma quale era stata la causa del delitto??? Che forse Marco aveva paura di essere scoperto? Ma poi perchè spingerla giù dal campanile del convento ??? L’assassino doveva essere per forza un abitante del convento per essere tra le mura dell’edificio di notte e non sarebbe stata una mossa astuta. No. L’assassino non poteva essere frate Marco. Tanto più che dalla descrizione di Diamantina e dalle lettere emergeva una spirito buono ed eccelso, che mai e poi mai avrebbe fatto del male ad una povera fanciulla che amava. Dovevo scoprire la verità. La notte di plenilunio successiva si presentò l’occasione. Diamantina mi svegliò nel sonno e mi invitò a seguirla. In un baleno ci ritrovammo al convento. Entrammo da una porta segreta e fummo dentro l’edificio.
<<Al campanile…Dobbiamo andare verso il campanile>> mi disse Diamantina.
E fu allora che caddi in uno stato di sonno veglia. Mi sveglia correndo lungo le scale del campanile con un frate che mi inseguiva. Diamantina era dentro di me. Capii solo allora che io ero la reincarnazione della fanciulla del convento. Ormai stremata, avevo raggiunto il campanile quando il frate mi prese forte per un braccio. Allora gli tolsi il cappuccio, credendo di trovare il bel viso di Marco, che ora ricordavo perfettamente ed invece…Invece erano le sembianze del vecchio bibliotecario.
<<Piccola ficcanaso…Ti sei condannata a morte da sola…>>.
Mi svegliai completamente, mentre il bibliotecario mi stava soffocando.
<<Perchè???>> chiesi con un filo di voce.
<<Io sono la reincarnazione di frate Giulio, priore dell’ordine, che Marco con il suo amore proibito ha infangato. Diamantina doveva morire…E tu morirai come lei…>>.
Non era stato Marco quindi ad uccidere Diamantina, ma frate Giulio che aveva scoperto la tresca amorosa. La ragazza del campanile aveva finalmente il suo perchè.
Con un grido strozzato urlai: << Diamantina non è stato Marco>>. E poi la storia come nell’incubo si ripetè.
Un campanile, una luna piena rosso sangue, il latrato di un cane e alla fine delle urla… Poi un tonfo nel vuoto e nulla più se non un nome urlato : “Diamantina!!! Diamantina!!!”.
Ero a terra in una pozza di sangue. Il bibliotecario mi aveva spinto giù dal campanile. L’ultima cosa che vidi prima di spirare furono le anime di Diamantina e Marco, che ritrovatesi ascesero insieme al cielo. E adesso sarei stata per sempre io Diamantina, la ragazza del campanile.