DiMattina del 28 ottobre 2024 – Parthenope, Sorrentino regala un’altra grande bellezza
Dopo aver visto il film due volte e letto decine di recensioni, alcune buone solo per screditare come al solito Sorrentino, ho deciso di pubblicare quella del mio amico cinefilo Nuccio Randazzo, che ho trovata piena di spunti interessanti. Buona lettura!
Sarà la comprensione data dalla maturità o la tolleranza dettata dalla senescenza? Non saprei rispondere. Quasi tutti i film di Sorrentino in passato, pur apprezzandoli, mi hanno sempre lasciato qualche perplessità, qualche difficoltà ad entrare nel ” cuore delle cose” (per citare il bel libro di Natsume Soseki) ; nessun dubbio invece per l’ultima Opera del regista napoletano, ” Parthenope”. Un film complesso, ricco di spunti per chi vuole “vedere” ( così il bravissimo “Prof.” Silvio Orlando a proposito dell’ antropologia), scavare e non fermarsi alla superficie delle cose, del visibile di una Città, Napoli, sempre” velata” ( Ozpetek), come il marmo della Cappella Sansevero, e che da cinque millenni aspetta, vuole sempre essere disvelata, spogliata dai tanti luoghi comuni, sedotta alternando forza a dolcezza. Un omaggio alla vita, alla sua complessità: ” E’ enorme la vita, che ti ci perdi dappertutto “, così in esergo da L. F. Celine; ed è facile perdersi tra tanta bellezza e desolazione, tra il fascino di una città seducente, ammaliatrice, pronta pur sempre a colpire con ferina violenza.. Cinica, sensuale, trasgressiva, seducente come il mito della Sirena, tra il verde azzurro del mare ” fatto di acqua e sale “, si muove la bellissima Parthenope. Come la Città, si aggira tra i suoi sfarzi e i suoi vicoli, seducendo giovani, camorristi, alti prelati, in un turbinio di emozioni, finalmente libera espressione di un raffinato erotismo, ultimamente relegato ai margini nei film( viva sempre Anais Nin).
C’è tutta Napoli in queste circa due ore e passa di spettacolo; e c’è Fellini, sin dal primo fotogramma, il sanguigno Maestro romagnolo; sullo sfondo di una Napoli laurina, che lo stesso Comandante descrive plebea ed accattona, si muove una società ricca e trasgressiva. C’è tutto, il mancato ” Miracolo” della liquefazione che cede il passo al miracolo della bellezza femminile, della nudità. C’è la festa dell’unione, pagana e camorristica, di due giovani ” rampolli” che ricorda le formidabili pagine (poi scene) di un altro ammaliatore, seduttore della parola quale Kurt Suckert ( ovvero Curzio Malaparte, anch’egli fulminato dalla bellezza di Napoli e Capri) nelle quali ci fa assistere al gioioso, ricco, allegro e commovente “parto” del femminiello, altra categoria dal fascino tutto partenopeo, che non ha bisogno di leggi di tutela per ottenere rispetto nei bassi. C’è la seduzione della bellezza acerba nei confronti del vecchio scrittore omosessuale americano che, seppur in minima parte, richiama le pulsioni senili di Von Aschenbach per Tadzio, lasciando vaghi ed indefiniti contorni al volo di Raimondo, stretto da un amore infelice. C’è tutto in questo bellissimo film, c’è soprattutto la voglia di vivere, nonostante tutto, di libertà, di gioia e c’è il sorriso, il sorriso quale arcobaleno, il sorriso contrapposto alla voglia di distruzione, il sorriso che si impone nonostante i vari Venerabili Jorge da Burgos perché, per loro, ” il sorriso potrebbe insegnare a liberarsi…..dalla paura….dal Timore…”( ” Il Nome della Rosa”). Il sorriso che libera!