Giocare a “Difetto”, ovvero trovare negli altri ciò che non va. A cura della psicologa Sabrina D’Amanti.
Acate (Rg), 29 ottobre 2015.- Nello scorso articolo abbiamo parlato di gossip o maldicenza, in questo parleremo di un altro tipo di pratica verbale altrettanto pungente quanto il gossip e che in taluni casi può includere il gossip stesso. Si tratta del gioco “Difetto”. Il termine“gioco” non è usato secondo il significato a cui siamo abituati, ma secondo il significato che gli dà l’Analisi Transazionale, ovvero una dinamica relazionale che si svolge durante la conversazione, caratterizzata da un carico di tensione crescente e che alla fine si conclude in maniera spiacevole. Chi gioca assiduamente a “Difetto” non si dà pace finché non ha trovato un difetto nella persona che ha davanti. Alcuni sono così “allenati” da sfruttare a pieno le proprie abilità intuitive, cogliere prontamente negli altri quale aspetto maggiormente li imbarazza e servirsene per mettere in atto il gioco. Alcuni mettono in atto il gioco attraverso una falsa ironia: sfruttano il difetto dell’altro facendo delle bieche battute di scherzo che suscitano la risata dei presenti. Se il malcapitato reagisce protestando, incalzano accusandolo di non saper stare la “gioco” o di “non capire quando si scherza”. In realtà loro svalutano il fatto che uno scherzo è tale quando ridono tutti con piacere e nessuno ne fa le spese passando come Vittima. In ogni caso, a mostrarsi offesi o a difendersi contro le rilevate imperfezioni si ottiene solo l’ulteriore scherno del giocatore che incalzerà i toni, oppure si mostrerà a sua volta offeso asserendo, a sua difesa, che l’altro come sempre ha frainteso, che se l’è presa oltre misura e che la prossima volta si guarderà bene dal dargli così tanta “confidenza”. Una seconda forma del gioco è quella che io chiamo la “forma rovesciata”. È giocata da quelli che evidenziano la presenza di un difetto nella loro stessa persona, aspettandosi che gli altri li contraddicano (motivazione nascosta), con espressioni del tipo: “Beh, in fondo non sei poi così male come ti dipingi” o simili. Tra quelli che praticano tale forma c’è chi fa ricorso all’autoironia. Si tratta di persone che da piccole rimasero particolarmente ferite per la derisione dei compagni, tipica a quell’età, a causa di loro difetti fisici (grassezza, bruttezza, cecità, ecc.). Conservando questo spiacevole ricordo, da grandi continuano a temere quelle vecchie umiliazioni. Così che, proiettando all’esterno un severo giudizio interno che hanno di se stessi, anticipano quello che per loro è un evento certo, che esso venga espresso da una delle persone con cui in un dato momento si trovano e lo pronunciano loro per primi a mo’ di battuta. Le loro dichiarazioni, apparentemente scherzose, hanno la funzione di attenuare il dolore per la derisione e partono da un’implicita considerazione secondo cui “E’ meglio riconoscere i propri difetti da soli che aspettare che siano gli altri a farlo”. Nel libro “I giochi dell’Analisi Transazionale: come riconoscerli e liberarsene”, Xenia, 2011, di cui sono autrice, descrivo questo assieme ad altri circa trenta giochi, così come per gli altri giochi, anche in questo caso spiego le ragioni psicologiche (inconsce) per cui viene messo in atto e analizzo gli elementi che lo compongono. Di seguito riporto un esempio illustrativo tratto dal libro): Anna è solita rilevare qualcosa che non va in ciò che indossa la sua amica Linda:
Anna: Ti sei comprata una nuova tuta?
Linda: Sì, la metto oggi per la prima volta.
Anna: Piuttosto larga direi!
Linda: Sì, mi è piaciuta proprio per questo.
Anna: Però ti fa i fianchi larghi e ti fa sembrare più grassa.
Linda: Dici?
Anna: Beh, secondo me sì.
Anna raggiunge il suo scopo di dimostrare che la tuta non va bene poiché Linda, che nella prima parte di scambi transazionali aveva rifiutato il proprio “tornaconto”, nella seconda parte lo accetta. Avrebbe potuto continuare a rifiutarlo per esempio rispondendo:
Linda: Preferisco star comoda piuttosto che nascondere le mie rotondità.
Anna però, alludendo alla sua linea, ha forse toccato un “punto debole” (anello) di Linda, che quindi si è lasciata agganciare raccogliendo un tornaconto negativo (pp. 58-59).
Il giocatore del gioco Difetto, come esaminato, va a caccia di difetti negli altri e li sfrutta per deridere, schernire, umiliare o mettere in imbarazzo. In realtà egli esterna una severità di giudizio che nel proprio intimo usa innanzitutto con se stesso, egli cioè considera se stesso inadeguato e attraverso il gioco tenta di placare le ansie provenienti dalla convinzione di “non andar bene” facendo apparire gli altri “Non Ok”, abbassare in quel momento il valore dell’altro gli dà l’illusione di innalzare il proprio.