Giorgio Vacchiano, Dottore forestale e membro della Società italiana di Selvicoltura e Ecologia Forestale (https://sisef.org/) ha condiviso con Uncem alcune considerazioni in merito ai gravi incendi boschivi degli ultimi giorni, che la Delegazione rilancia di seguito.
L’incendio fa parte della dinamica naturale della vegetazione mediterranea: la vegetazione non viene “distrutta” ma ricresce (in tempi più o meno lunghi). Il problema è il danno all’uomo, diretto (pericolo causato dalle fiamme) e indiretto (es. aumento dell’instabilità del suolo e dei versanti)
Non tutti gli incendi sono distruttivi, molti sono “radenti” e percorrono solo la superficie del suolo senza colpire le chiome degli alberi (e sono quindi i meno pericolosi)
In Italia le accensioni sono al 90% dovute all’uomo, ma non a “piromani” (cioè persone malate), bensì a “incendiari”, cioè persone che innescano incendi per dolo o anche per colpa (es. fuoco usato per abbruciamenti di residui vegetali che sfugge al controllo)
Una volta innescato, il fuoco si propaga solo se la vegetazione lo permette, cioè se è “secca” (sia viva che morta) e distribuita senza soluzioni di continuità, sia in orizzontale che in verticale (si parla di “scaletta” di combustibili, es. arbusti alti che conducono le fiamme in chioma)
L’ondata di calore e siccità del 2017 ha sicuramente reso la vegetazione più infiammabile. I cambiamenti climatici, principalmente causati dall’uomo, aumentano i fenomeni di questo tipo
Dal 2017 il Corpo Forestale dello Stato è stato dismesso. Personale e competenze sono passate in parte ai Carabinieri (sorveglianza) e in parte ai Vigili del Fuogo (lotta agli incendi). Nelle cinque Regioni autonome invece (Sardegna, Sicilia, Valle d’Aosta, Friuli, Prov. Trento e Bolzano) esistono ancora i Corpi Forestali Regionali.
La competenze antincendio e quelle di gestione delle foreste in Italia sono in capo alle Regioni, ma devono essere coordinate centralmente sia per quanto riguarda la distribuzione delle risorse economie che per l’invio di mezzi dove si verifica un’emergenza. Dalla dismissione del Corpo Forestale, non è ancora stata attivata la Direzione generale Foreste presso il Ministero Politiche Agricole e Forestali, che è il soggetto in grado di garantire tale coordinamento.
La prevenzione è possibile e indispensabile, in quanto rende la vegetazione meno infiammabile tramite 1) interventi per interrompere la continuità orizzontale e verticale del bosco (diradamenti) nei punti strategici; 2) interventi per eliminare il combustibile fine, es. “fuoco prescritto” (applicato normalmente in vari Paesi per la prevenzione dei grandi incendi)
La prevenzione costa meno ed è efficace. Occorre però pianificarla (decidere dove e quando è più efficace, perchè è impossibile effettuarla in tutti i boschi Italiani) e allocare risorse e personale per farla; il personale deve essere formato (soprattutto per l’applicazione del fuoco prescritto).
Uncem insiste da tempo sulla necessità di una buona legge forestale nazionale, che modernizzi il DLgs 227/2001 (oltre alle leggi regionali esistenti, come quella del Piemonte oggi alla base anche del Piano forestale regionale), già peraltro concertata con tutti i portatori di interesse (a partire dagli Enti locali) ed elaborata dal Mipaaf e in particolare seguita dal Viceministro Andrea Olivero che Uncem ringrazia. Ora il disegno di legge deve essere messo in tempi rapidissimi all’esame del Parlamento.
Uncem Piemonte ha anche già studiato un piano di micro-invasi per l’accumulo di acqua nelle vallate alpine e appenniniche. Avendo un uso plurimo, questi accumuli permetterebbero anche un buon utilizzo in caso di incendi boschivi, con accesso agevole di mezzi aerei e via terra.
In conclusione, una gestione forestale attiva, a livello di ambiti territoriali e di Unioni montane di Comuni, permette una buona prevenzione degli incendi boschivi (oltre che del dissesto) conseguenza di un efficace utilizzo delle risorse forestali per una capacità del bosco di esprimere tutte le sue opportunità e potenzialità, non solo protettive, ambientali e paesaggistiche, ma anche produttive. Questo fronte è fondamentale per una nuova economia montana nel quale il bosco gestito assume un grande valore per i servizi ecosistemici che restituisce, a partire dall’assorbimento della Co2 e dalla difesa dell’assetto idrogelogico del territorio.