Vittoria. 27/03/2020
RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO DALLA DOCENTE FRANCA PRIVITELLI.
Quanti di voi usano il vocabolario? Quanti delle nuove generazioni lo usano per ricercare il significato di una parola? Pochissimi. Ormai la funzione del vocabolario e del dizionario dove spinti dalla curiosità andavamo a sfogliare pagine e pagine, per cercare l’ etimologia o il significato di un lemma, cede il passo ad un click. Dietro lo sfoglio di quelle pagine però, c’ era molto di più di quella funzione, c’ era anche il potenziale valore della ricerca e il piacere della scoperta di altre centinaia di parole che incontravamo , mentre il nostro dito scorreva alla ricerca di quella parola, si faceva un percorso di crescita costruttiva, anche in termini di ordine alfabetico, oggi diventato difficile persino per qualcuno. I processi cognitivi delle ultime generazioni stanno cambiando così come la conoscenza che avviene solo per collegamenti orizzontali, privi di approfondimenti, ma solo di capacità mnemoniche ( altro che tassonomia di Bloom, con dominio cognitivo, con cui valutiamo spesso i nostri alunni), purtroppo la costruzione gerarchica a spirale delle conoscenze è stata compromessa anche dalla capacità di memoria degli individui, poichè tale memoria non risiede più nel cervello ma ci si affida ad una memoria esterna chiamata hard disk. Pertanto l’itinerario cognitivo è stato stravolto. Spesso durante la mia esperienza di docente, ho chiesto ai bambini di studiare bene la geografia e l’importanza che ha questa disciplina nel dominio dello sviluppo psico-motorio e nelle abilità di orientamento spaziale che si interfaccia anche con le abilità di geometria e dello spazio, dello scorrere del tempo in storia, come lo scorrere del tempo lineare e di quello ciclico di un fenomeno nelle scienze naturali, eppure i bambini mi rispondono che non è così importante o fondamentale sapere tutto, perchè magari ci aiuta un gps o uno strumento o un app tecnologica. Ebbene faccio fatica a far comprendere che il contenuto dei dati inseriti in quegli aggeggi, sono i contenuti di sapere , di cultura e di abilità di uomini che hanno costruito da soli quei saperi, utilizzando il loro cervello e le sue funzioni, come: pensare e costruire le proprie conoscenze, facendo percorsi esperienziali, ricercando, studiando contenuti attraverso metodi di studio che investa ed impegni le nostre facoltà mentali, che la costruzione del sapere deve essere verticale, ossia deve appropriarsi di contenuti di conoscenze sempre più complesse che faccia riferimento alle precedenti che debbono ricercarsi all’interno del nostro cervello( il nostro hard disk) che queste conoscenze debbono trovare collegamenti logici tra loro e che solo così, potranno diventare abilità da poter utilizzare in contesti che richiedono problem solving. Del resto uno studio dell’OCSE 2014, i dati ottenuti hanno dimostrato che l’uso di tecnologie non ha favorito nè la didattica nè l’apprendimento, e che i tablet, risultano utili soltanto come strumenti alternativi, per gli alunni Bes o Dsa , ossia con problemi di apprendimento legati alla disgrafia o discalculia o altro, la maggior parte degli strumenti tecnologici possono essere soltanto una modalità strumentale nella didattica, e non la didattica. Eppure oggi, in condizioni di estrema emergenza,l’ epidemia da corona virus, ci ha indotto ad un uso forzato della DAD, termine tecnico per gli addetti ai lavori, che si traduce semplicemente in “didattica a distanza”. Una didattica asettica, poco permeata dai fattori umani, dove le relazioni emotivo-affettive tra alunni e docenti, vengono interrotte e trasformate in modo asincrono , senza alcuna corrispondenza immediata e naturale tra lo stimolo e risposta, un setting scolastico fisico, che cede il posto ad un ambiente virtuale, dove tutti occupano in modo orizzontale, la stessa posizione, in barba alle esigenze psico-pedagogiche di ciascuno, un modello di peer to peer in forma di client, dove ci si scambiano: informazioni, contenuti e attività, ma dove l’ ansia, la difficoltà, l’ incertezza di un bambino ,sfugge all” occhio professionale ed empatico del docente in presenza. Ecco che lo strumento tecnologico, quale dispensatore di sapere e di apprendimento, trova il suo limite ” mediatico”, perchè incapace di cogliere e mediare quelle emozioni e quei sentimenti , fondamentali , che si instaurano in una relazione di insegnamento- apprendimento che fa perno sull’ investimento affettivo dell’ alunno e sull’intelligenza emotiva che nessuna intelligenza artificiale saprà mai replicare. Pertanto se in un momento di estrema emergenza la tecnologia ci aiuta ad erigere una barriera tra noi e il virus, se la tecnologia accorcia le distanze fisiche, riesce soprattutto a mettere la distanza tra noi e la crescita costruttiva del sapere, e non permette l’ espansione di uno spazio umano di una memoria permanente, trasformandosi in un ‘arma di distrazione di massa.