La Sicilia è stata da origini remote terra di conquista: dai fenici agli arabi, dai romani ai normanni, quest’isola ha sempre subito la dominazione di altri popoli e con essa il flusso dinamico culturale e conoscitivo.
Siciliani erano anche due premi Nobel della letteratura moderna, Luigi Pirandello e Salvatore Quasimodo; il primo drammaturgo, filosofo e scrittore, il secondo, poeta, massimo esponente dell’ermetismo italiano. Quest’ultimo, in una intervista rilasciata dopo il prestigioso riconoscimento ricevuto a Stoccolma disse: forse non è un caso che questa terra abbia due nobel, perché forse la poesia ama le terre che galleggiano.
Leonardo Sciascia diceva: l’intera Sicilia è una dimensione fantastica. Come si fa a viverci senza immaginazione?
Sempre Sciascia affermava: la sostanza di quella nozione della Sicilia che è insieme luogo comune, idea, corrente, e motivo di unica e profonda ispirazione nella letteratura e nell’arte.
Salvatore Quasimodo nacque a Modica il 20 agosto del 1901 da Gaetano Quasimodo e Clotilde Ragusa. Il padre era capostazione, lavoro che costrinse il poeta a spostarsi per tutta la Sicilia, fino a trasferirsi definitivamente a Roccalumera in provincia di Messina. Frequentò l’istituto tecnico Jaci, dove conobbe Giorgio La Pira, di Pozzallo, futuro sindaco di Firenze, da cui nacque una intensa amicizia durata fino alla morte del poeta.
Lavorò come geometra al genio civile di Reggio Calabria, dove compose la lirica “Vento a Tindari”; nello stesso anno pubblicò la sua prima raccolta, esclusivamente in stile ermetico dal titolo “Acqua e terre”.
Nel 1934 si trasferisce a Milano, successivamente a Sondrio, dove lavora sempre come geometra al genio civile, mestiere che abbandonerà definitivamente nel 1938 per dedicarsi esclusivamente alla letteratura.
Nel 1938 pubblica una raccolta antologica dal titolo “Poesie”, tre anni dopo diviene professore di letteratura italiana presso il conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Nel 1942, venne pubblicata nella collezione “Lo specchio” edito dalla Mondadori la sua raccolta di poesie “Ed è subito sera”, che conteneva altre raccolte dal titolo “Oboe sommerso ed Erato e Apollion”. Nel 1958 vinse il premio Nobel per la letteratura.
La letteratura quasimodiana, nel suo insieme ha costruito le basi per provare a distaccarsi dinamicamente da quel malessere che il popolo siciliano porta come stigma nella propria antropologia, a causa di tutte le dominazioni di cui è stata oggetto.
È questo il dolore di un popolo ferito, costretto ad emigrare materialmente e mentalmente, compreso lo stesso Quasimodo, per calpestare altre terre, dove il peso della lontananza diviene un grido disperato; un esempio è la poesia di Quasimodo “Lamento per il sud”, scritta a Milano nel 1942.
Il distacco dalla propria terra e dalle proprie radici è stato un dramma per Quasimodo, costretto ad eclissarsi nel proprio Io lungo sentieri di solitudini astrali. L’arte come rivalsa di tanto dolore e di uno struggente pessimismo che albera nell’intimo di ogni siciliano, che cerca il riscatto attraverso il focus della letteratura a dell’arte.
La poesia riabilita l’uomo dalle sue miserie, lo trasporta nell’universo inesplorato dei sentimenti, per non contaminarlo da un vivere superficiale di una società forsennata.