Sciascia accusato prima di avere inventato la mafia, e poi criminalizzato l’antimafia, ma diceva la verità in anticipo su tutti
Già Paolo Borsellino, rievocando – subito dopo l’uccisione di Giovanni Falcone – i fatti di tre anni prima, gli aveva concesso piena riabilitazione, sanando una ferita frutto di equivoci.
Ma in vita, Leonardo Sciascia, morto prematuramente nel 1989, per due anni si portò l’amarezza di non essere stato compreso.
Il suo articolo pubblicato il 10 gennaio ’87 su Il Corriere della Sera, dal titolo “I professionisti dell’antimafia”, era stato letto come una frecciata alla nomina di Paolo Borsellino a procuratore di Marsala, disposta dal Csm in deroga al criterio dell’anzianità <<per specifiche e particolarissime competenze professionali nel settore della malavita organizzata>>.
Ma non era così e solo una lettura superficiale, piegata al piccolo cabotaggio di interessi particolari, aveva potuto ignorare la radice profonda e, come sempre lucidissima del pensiero del maestro di Racalmuto.
Il quale visse una doppia ingiustizia morale che fornisce anche la cifra del suo altissimo magistero civile: essere stato accusato di avere inventato la mafia quando, nel 1961, pubblicò “Il giorno della civetta” con il quale per la prima volta uno scrittore siciliano aveva il coraggio di denunciare il fenomeno mafioso, negato fino a quel momento da tutte le istituzioni, compresa la Chiesa; e di avere, con quell’articolo, 26 anni dopo, tradito la causa antimafia.
Entrambe false le accuse che comunque contengono, nel loro opposto, la via per la verità storica.
Sciascia non aveva inventato la mafia ma era stato il primo ad avere il coraggio e la forza per raccontarla e denunciarla. E, a maggior ragione, non aveva abbandonato la causa antimafia, ma semplicemente, avvertito, con precoce lucidità, un rischio di degenerazione già in atto in quegli anni.
Così come Sciascia condannava la mafia, non voleva che l’azione antimafia diventasse strumento di lotta, anche politica, per il potere.
La sua amarezza, così come la limpidezza della sua visione, sono testimoniati dall’intervista – frutto del dialogo con il poeta Franco Loi registrato per la Radio svizzera in lingua italiana pochi mesi prima della morte – che Francesco Izzo pubblica oggi, per la prima volta dopo 28 anni, sulla rivista internazionale di studi sciasciani “Todomodo”.
Nell’intervista lo scrittore spiega di essere tra coloro che combattono la mafia, ma ciò non vuol dire che si debba arretrare sul terreno delle garanzie e dei diritti, né che l’impegno antimafia, più o meno strombazzato nella battaglia politica, possa essere un valore in se, almeno fino a quando esso si limiti alle parole con cui ci si autoincensa e non agli atti compiuti.
Ma tutta la vita e l’opera di Sciascia sono segnate dallo scandalo delle verità che egli, semplicemente, ha visto e raccontato prima degli altri e molto, forse troppo, in anticipo.
Luca Di Natale