L’impronta del vulcano nella falda dell’Etna
Svelati i meccanismi attraverso cui l’Etna imprime la sua impronta nella falda acquifera che scorre al suo interno, principale risorsa idrica per la Sicilia orientale. A scoprirli, un team di ricercatori INGV.
I risultati sono stati pubblicati su Chemical Geology e su Journal of Volcanology and Geothermal Research
L’edificio vulcanico del Monte Etna ospita una imponente falda acquifera che rappresenta la più importante risorsa idrica per la Sicilia orientale. La comprensione dei processi che determinano l’abbondanza degli elementi di origine vulcanica in essa disciolti è l’oggetto delle tre ricerche dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): Tracing the circulation of groundwater in volcanic systems using the 87Sr/86Sr ratio: Application to Mt. Etna; Volcanic plume fingerprint in the groundwater of a persistently degassing basaltic volcano: Mt. Etna; Dissolved inert gases (He, Ne and N2) as markers of groundwater flow and degassing areas at Mt Etna volcano (Italy). I risultati dei lavori sono stati pubblicati su Chemical Geology e Journal of Volcanology and Geothermal Research.
“La falda dell’Etna, alimentata dalle piogge e dallo scioglimento della coltre nevosa”, afferma Marcello Liotta, ricercatore INGV – Sezione di Palermo, “è stata oggetto, nel corso degli ultimi anni, di numerose ricerche scientifiche. Le caratteristiche dell’edificio vulcanico, le peculiari condizioni climatiche e la presenza di un pennacchio vulcanico persistente rendono infatti la falda etnea uno scrigno di segreti, molti dei quali ancora da scoprire”.
La geochimica, branca delle scienze della Terra che studia la distribuzione e il comportamento degli elementi che costituiscono il globo terrestre, rappresenta uno strumento fondamentale di indagine per esplorare i percorsi idrici sotterranei e la migrazione degli elementi di origine vulcanica attraverso la falda. Nell’ultimo anno, alcune ricerche condotte dalla comunità scientifica dell’INGV hanno fatto emergere come il vulcano imprima la sua impronta nella falda.
“L’area sommitale del vulcano è caratterizzata da piogge acide a causa della presenza persistente del pennacchio vulcanico che rilascia ingenti quantità di gas acidi e aerosol nell’atmosfera. Nonostante la chiara evidenza di precipitazioni acide, dimostrata da ricerche precedenti, il contributo in falda degli elementi provenienti dal pennacchio non era mai stato identificato fino ad ora”, spiega Marcello Liotta.
Le piogge acide vengono neutralizzate dalla interazione con le rocce basaltiche che costituisco l’edificio vulcanico e si infiltrano nella falda.
“Dallo studio della composizione chimica delle acque è stato identificato, per ciascun elemento, il contributo dovuto al pennacchio e quello dovuto ai processi di interazione acqua-roccia; quest’ultimo favorito dall’elevato contenuto di anidride carbonica (CO2) di origine magmatica disciolta nella falda. La composizione isotopica dello stronzio (Sr) ha consentito, inoltre, di quantificare il contributo in falda di piccolissime frazioni di soluzioni ipersaline che risalgono attraverso il basamento sedimentario, insieme a grandi quantità di gas”.
I gas vulcanici, infatti, non vengono emessi solo dai crateri sommitali, ma alcuni di essi vengono rilasciati dai magmi a diversi chilometri di profondità.
“Dall’analisi della composizione chimica e isotopica dei gas inerti disciolti nella falda”, aggiunge Antonio Paonita, primo ricercatore dell’INGV- Sezione di Palermo, “emerge che alcuni gas di origine magmatica raggiungono la falda attraverso discontinuità tettoniche, si disciolgono in essa e percorrono lunghe distanze lungo i fianchi dell’Etna. Dai campioni prelevati presso pozzi e sorgenti dell’acquifero è stato possibile stabilire le zone in cui i gas in risalita intercettano le falde e i percorsi da monte verso mare seguiti dalle acque cariche di gas magmatico, nonché una serie di parametri idrologici degli acquiferi”.
Da qui l’idea che il vulcano imprima la sua impronta nella falda attraverso almeno tre meccanismi differenti: il pennacchio influenza la composizione chimica della ricarica meteorica; le rocce basaltiche rilasciano grandi quantità di metalli alcalini e alcalino terrosi; infine i gas inerti si disciolgono in falda, portando con sé preziose informazioni.
“Lo sviluppo di modelli interpretativi sempre più raffinati e la messa a punto di avanzate tecniche analitiche rappresentano uno strumento indispensabile per comprendere i processi che avvengono nel sistema vulcanico, il loro impatto nell’ambiente circostante e le possibili ricadute per la società”, conclude Marcello Liotta.