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ItalReport è anche psicologia con la Dottoressa D’Amanti: “L’insoddisfazione come causa di sofferenza”

In apertura alla rubrica saluto i lettori di Italreport, molti dei quali sicuramente mi seguivano già su Acateweb e ringrazio la redazione e l’amico Salvatore Cultraro per avermi invitata a prendere parte alle attività della testata.Apro la rubrica con un articolo sull’insoddisfazione. Il senso di insoddisfazione è uno dei sentimenti che maggiormente guasta la gioia di vivere. Si tratta di un profondo senso di mancato appagamento provato nei confronti di “ciò che si ha” o di “ciò che si è”. In questi casi, quanto maggiore sarà la distanza tra ciò che “si desidera avere” e ciò che si “ha”, tanto maggiore sarà il senso di insoddisfazione provato. La stessa cosa avviene se, ciò che si “è”, dista molto da ciò che “si vorrebbe essere”, ovvero dal modo in cui si vorrebbe essere, fisicamente, culturalmente, caratterialmente. In entrambi i casi il fattore che produce insoddisfazione è lo stesso, cioè valutare poco, o come non buona, la propria condizione. Spesso il mancato apprezzamento è dovuto alla non corrispondenza fra la situazione reale e criteri ideali di valutazione, non di rado ricavati da parametri sociali che prescrivono modelli, basati sul benessere economico e sul lusso, intesi come possibilità di possedere ciò che si desidera e che il mondo del marketing propina. La stessa condizione si verifica nel caso di svalutazione e non accettazione del proprio aspetto fisico. Anche in questo contesto i parametri di riferimento proposti dalla società sono estremizzati, anche in questo caso la distanza da questi, produce abbattimento e tristezza e il tentativo di conseguirli può causare stress, tensione emotiva e patologie varie, tra cui dipendenza da cure estetiche, fitness, e altro. Chi convive con un profondo senso di insoddisfazione spesso non ha neanche chiare le ragioni del proprio malessere, avvertito come stato di grigiore, di umore triste, di mancanza di gioia e vitalità e di voglia di fare. In taluni casi il soggetto subisce passivamente questo umore col quale convive senza far nulla per tentare di migliorarlo, beneficiando solo di casuali e passeggeri momenti piacevoli ricevuti in dono dalla vita. In molti altri casi la disperazione che esso produce trova rimedio nell’evasione patologica data da condotte non sane tra cui lo shopping compulsivo, il gioco d’azzardo o altri comportamenti insani. Ma all’apice di tutti i fattori che possono danneggiare o comprimere la gioia di vivere vi è il “non sentirsi amati”. Tale percezione alimenta un senso di vuoto smisurato e si accompagna alla convinzione di non possedere alcuna qualità per cui poter essere apprezzati e amati e quindi, in altri termini, di “non valere nulla”. Chi soffre di depressione ha spesso questo tipo di pensieri, reputa se stesso indegno di amore, di non saper far nulla di buono e di non valere. Il non sentirsi amati e il ritenersi immeritevoli di ciò è, tra tutte, la causa più ricorrente nel suicido, inteso come unica via di fuga dal dolore di stare al mondo. Le ragioni di un dolore così profondo vanno rintracciate nelle esperienze precoce e nella qualità della relazione affettiva che il bambino sviluppò nei confronti della figura materna e delle figure affettive di riferimento di allora. Per uscire da uno stato di abbattimento così grande occorre un accurato lavoro di rielaborazione, ricostruzione e infine di scoperta di nuove dimensioni affettive e relazionali. La meta finale deve essere imparare ad amare se stessi, ma anche a riconoscere e apprezzare l’amore che proviene dagli altri.

 

Dott.ssa Sabrina D’Amanti psicologa e psicoterapeuta

cell. 393.4753696 mail sabridama@tiscali.it

Studio di psicoterapia a Vittoria e Ragusa

 

 

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