Matteo Renzi dice no al Commissariamento di Roma ma cosa risponde ai 241 Comuni che l’hanno subito?
Carmelo Raffa
Roma, 9 dic 2014 – Un coro di no da parte dell’apparato del Partito democratico è arrivato alle richieste delle forze di opposizioni per il Commissariamento del Comune di Roma a seguito delle accertate infiltrazioni mafiose.
Riteniamo che questa decisione che sembrerebbe avallata dal Ministro dell’Interno Angelino Alfano se da un lato è giustificata dall’estraneità del Sindaco Ignazio Marino ai gravi fattacci accaduti, dall’altro fa intravedere una profonda ingiustizia nei confronti dei 241 Comuni, o parte di essi, che nel recente passato hanno subito la mannaia governativa del Commissariamento.
Se Renzi e la sua maggioranza hanno deciso che Roma sia diversa e debba avere un trattamento di riguardo nei confronti degli altri Comuni d’Italia sarebbe il caso, almeno, di sottoporre al Parlamento una mozione che giustifichi il mancato e da più parti richiesto provvedimento di azzeramento degli organismi elettivi del Comune di Roma.
D’altronde non dobbiamo dimenticare che per il Comune in questione nel passato si sono fatte tante e tante eccezioni ivi compresa la legge per “Roma Capitale”.
D’altronde come si fa a non tenere conto che la città di Roma definita “caput mundi” rappresenta il centro del mondo per attività politiche, economiche e culturali?
Anche in passato sono stati sacrificati sull’altare della città “caput mundi” gli interessi delle altre Regioni e Comuni e ciò in particolare quelli del Mezzogiorno d’Italia.
Come siciliani e per citare un esempio, nel 2000 abbiamo visto scomparire lo storico Istituto di Credito Banco di Sicilia che dopo essere stato risanato e rilanciato veniva dato in pasto alla Banca di Roma per salvarsi. Ma nonostante questa forzatura governativa e della Banca d’Italia, dopo qualche anno la Banca di Roma e le banche del Gruppo Capitalia vennero annesse ad Unicredit Group.
Ed ora il Governo non vuole Commissariare Roma? Ok, ma almeno rinunci ad atti d’arbitrio e decida con la condivisione del Parlamento.
Carmelo Raffa