“Una piccola impresa meridionale” racconta il sud problematico  sì ma ricco di fantasia
MODICA – Non è il romanzo, peraltro di discreto successo, non è il film, con buoni consensi di pubblico e di critica.
“Una piccola impresa meridionale” sulla scena del teatro è un micro cosmo di canzoni, racconti poetici, monologhi e gag surreali che sono il tessuto che unisce e compone la trama dello spettacolo che ha visto Rocco Papaleo, accompagnato da una straordinaria band di quattro elementi di buona consistenza artistica, dare il meglio di sé.
Due siciliani, Francesco Accardo, alla chitarra, Jerry Accardo, alle percussioni e due abruzzesi, Arturo Valiante al pianoforte e Guerino Rondolone al contrabbasso e in mezzo un genio della comicità. Un’ artista a tutto tondo che al pubblico del Teatro Garibaldi, presente in ogni posto, è piaciuto molto tanto che alla fine ha ballato in piedi, il ballo della Foca e cantato, con tanto di accompagnamento di sottofondo, un motivetto insipido ma accomunante.
Una bella apertura di stagione per lo storico teatro che si è aperto con l’accoglienza del pubblico da parte del protagonista della serata e che non ha risparmiato battute e ha posato per foto con entusiaste signore, soprattutto, e signori.
Poi i discorsi di inizio stagione del sindaco, Ignazio Abbate, della soprintendente Simona Celi, gongolante per il tutto esaurito e per il record degli abbonamenti e del saluto del neo vice presidente della Fondazione, l’avv. Giuseppe Polara.
“Una piccola impresa meridionale”, con un pubblico già preparato e stimolato, parte per un viaggio attraverso racconti dagli accenti esistenziali alla ricerca di suggestioni, storie buffe e romantiche che vogliono far divertire e sognare.
La poesia nello spettacolo di Rocco Papaleo è un linguaggio che si esplica magistralmente nell’incontro tra musica e parole, un incontro senza soluzione di continuità come se fosse una lunga e unica partitura musicale.
Poi il continuato dialogo con il pubblico con una sorta di saliscendi di battute e di miniche, ora suadenti ora dissacranti, di Rocco Papaleo, che conosce e usa tutti gli arnesi del mestiere, sino a portare sul palcoscenico una leggiadra spettatrice che sta al gioco della scena.
Rocco Papaleo piace. Rileviamo che la sua comicità  è quasi svogliata davvero spassosa e acuta. L’attore lucano ha un modo di fare un po’ stanco, sembra che lasci andare le battute con noncuranza e con voce trascinata, ma intanto assesta stilettate senza fronzoli, di secchezza gustosa.
Lo spettacolo al quel punto diventa un unico tableau vivant dove pubblico, comico e musici sono un tutt’uno; cade nella comicità, a volte triste, il muro tra platea e palcoscenico per esaltare la maschera più ricorrente di quella iconografia del comico simbolo che ride sulle pene di un Sud, magari povero e complessato ma ricco di fantasia e di speranza.
Rocco Papaleo – capocomico, attore di cinema e teatro, regista, autore, cantante, musicista – commenta così il suo desiderio di tornare al teatro : “Amo il cinema, ma ho bisogno del palcoscenico. Il teatro ha la forza del presente, è mentre sta accadendo, è vivo e in vista. E ha bisogno di una cosa sola: della vita. Per questo la vita ha bisogno del teatro. E sarà sempre così.”

Di Redazione

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