Elaborato un modello fisico-matematico in grado di spiegare i meccanismi che regolano l’attività sismica e vulcanica, attraverso la misurazione del radon emesso dai suoli dell’Etna. Lo studio, realizzato da un team di ricercatori dell’INGV e delle Università di Catania e delle Azzorre, è stato recentemente pubblicato su Scientific Reports (Nature Publishing Group)
Comprendere i meccanismi che regolano l’attività sismica e vulcanica attraverso la misurazione del radon emesso dai suoli dell’Etna, uno dei vulcani più attivi al mondo sia per frequenza delle eruzioni sia per intensità dell’attività sismica e tettonica. È quanto si prefigge un gruppo di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e delle Università di Catania e delle Azzorre che da oltre dieci anni esplora con una rete di sensori le potenzialità di questo gas. La ricerca è stata recentemente pubblicata su Scientific Reports (Nature Publishing Group).
“Abbiamo analizzato le emissioni di radon dai suoli etnei registrate nel periodo 2009-2011 da un sensore ubicato a Piano Provenzana, a circa 1800 metri di quota sul fianco nord-orientale del vulcano”, spiega Marco Neri, primo ricercatore dell’INGV- Osservatorio Etneo (INGV-OE). “Questo settore dell’Etna ha la peculiarità di trovarsi sia in prossimità di una faglia sismogenetica molto attiva, sia al margine del Rift di Nord-Est, che rappresenta una struttura vulcano-tettonica fisicamente collegata con il condotto centrale del vulcano e che è sede di intenso degassamento. Una peculiarità del sito che rende la sonda radon potenzialmente sensibile sia ai terremoti prodotti dalla faglia, sia alle eruzioni del vulcano”.
Non appena installata la sonda del 2009, la faglia ha originato un intenso sciame sismico (2-3 aprile 2010). Poco tempo dopo, il vulcano ha anche generato tre eruzioni parossistiche (da gennaio a marzo 2011) che hanno segnato l’inizio della crescita di un nuovo, imponente cono piroclastico sommitale, poi battezzato Nuovo Cratere di Sud-Est.
“Avendo, quindi, a disposizione terremoti ed eruzioni in un ristretto periodo di tempo e una sonda radon posizionata in modo strategico per registrare questi eventi, è stato possibile acquisire dati fondamentali per comprendere come varia il radon nel corso di terremoti ed eruzioni”, prosegue Marco Neri.
Le variazioni del radon sono state analizzate statisticamente, confrontandole con i principali parametri meteorologici. La permeabilità dei suoli, caratteristica che influenza il rilascio del gas, varia, infatti, in base ai periodi piovosi (l’acqua di pioggia si infiltra nel terreno occupandone i vuoti interstiziali e impedendo al gas di fuoriuscire), determinando variazioni nella misurazione del radon. Effetti simili si hanno anche in presenza di neve e nei periodi di alta pressione atmosferica, come in estate. Da qui la necessità di depurare il segnale radon dalle variazioni legate alle condizioni meteorologiche.
“L’analisi”, aggiunge Il ricercatore dell’INGV-OE, “ha rivelato l’esistenza di tre periodi di degassamento considerati anomali dal 2009 al 2011. Il primo, iniziato nel febbraio 2010, è stato caratterizzato da valori bassi di concentrazioni di radon che hanno preceduto di circa 7 settimane lo sciame sismico del 2-3 aprile 2010. Dopo l’anomalia negativa di febbraio, il radon è aumentato con regolarità fino a raggiungere valori massimi un paio di giorni prima dello sciame sismico. Una variazione dovuta al progressivo aumento della permeabilità del suolo in corrispondenza del piano di faglia che ha generato lo sciame sismico. Gli altri due periodi riguardano anomalie positive (gennaio e febbraio 2011) caratterizzati da valori molto alti che si sono verificati in concomitanza con tre eruzioni parossistiche dell’Etna. Anche in questo caso, le settimane precedenti le anomalie sono state caratterizzate dal progressivo incremento del radon, ma questa volta con oscillazioni decisamente maggiori, compatibili con repentine variazioni di velocità di emissione dei gas, probabilmente connesse con attività vulcanica”.
Per localizzare la sorgente di questo gas si è analizzato il contenuto di uranio, da cui si genera il radon per decadimento radioattivo, delle lave del vulcano e delle rocce del suo basamento sedimentario. La principale roccia-sorgente si trova a una profondità di 600-1400 m, dalla quale il radon risale verso la superficie con una velocità superiore a 50 metri/giorno.
“Lo studio getta le basi per una comprensione più approfondita dei processi tettonici e vulcanici che causano variazioni delle emissioni di radon, in particolare nei vulcani basaltici attivi come l’Etna. I risultati ottenuti ci stimolano a continuare questi studi attraverso un approccio multidisciplinare integrato con le altre reti di monitoraggio dell’INGV”, conclude Marco Neri.
In foto una Eruzione parossistica del Nuovo Cratere di Sud-Est dell’Etna. Eventi eruttivi di questo tipo sono stati analizzati nel 2011 attraverso le emissioni di gas radon registrate dalla sonda posta Piano Provenzana, sull’alto fianco orientale del vulcano. Foto di M. Neri.