Ragusa, 30 nov 2014 – Si inaugura sabato 6 dicembre 2014, alle ore 18.30, presso la Sala Borsa “Pippo Tumino” della Camera di Commercio di Ragusa, la mostra La voce del mare, catalogo Aurea Phoenix Edizioni, a cura di Andrea Guastella. L’esposizione raccoglie una selezione di dipinti per lo più recenti del maestro Franco Cilia dedicati al mare.
Dal testo in catalogo di Carmelo Arezzo: “Franco Cilia adesso non è più impaurito come un tempo quando i mostri scalfivano l’intenzione di farcela oltre la disperata essenzialità dell’esistere. D’altra parte nelle sue stazioni di un calvario scarnificante, è morto e risorto cento volte, ha aggredito graffiando e si è lasciato crocifiggere e malmenare, ha invocato anatemi ed ha accovacciato le sue delusioni ed i suoi dolori nel riparo consolante di una preghiera, cercando il solco tra la materia ed il divino.
Ha spostato le pareti del suo mondo e del suo tempo e ha ricostruito una nuova dimensione che vola sulle lunghezze d’onda di vecchie e nuove filosofie e che prova a nutrirsi anche della elegia dantesca in una diversa fragilità.
Le figure diafane che scivolano tra i limiti incomprensibili di nuovi paesaggi, appartengono al cielo ed alla terra, fingono o cercano abbracci, si spingono in voli meteoritici ma non sanno più (o forse non hanno mai saputo) se esiste ancora l’universo, intrecciano le mute canzoni di dialoghi singhiozzanti, replicano nudità illibate e pantomime di candida eleganza.
È allora finalmente la serenità ad irrompere nei colori pastello delle sue nuove tavolozze? Probabilmente no, perché si può affrontare una rinnovata attuale intransigente disperazione anche con la illusione trasformata in creatività.
Piuttosto resta insistente, centrale, ora ovattato ed ora lancinante, il grido di un uomo-artista-letterato-filosofo-veggente che della dimensione insostituibile della relazione comunicativa ha fatto da sempre l’incarnato materico e cromatico di un mosaico irrequieto, ma mai frettoloso.
Pensava Cilia dentro di sé che i segni a fuoco della sua pittura arrabbiata trasferita negli sguardi concupiti e concupiscenti nelle facce lisce della pietra della sua e nostra terra, in quegli anni lontani delle sculture ritrovate lungo le gole delle cave, dovessero presto o tardi scomparire trascinati dalla piena della decadenza anagrafica. E invece restano impetuosi e vanno cercando oggi, nella mutevole intensità della sua ricerca, altri spazi e nuove dimensioni.
Tutto adesso è in scena: l’incubo e il sonno della ragione che spesso genera i mostri. Ma l’incubo più spesso è il sogno della ragione, che sembra coincidere d’un tratto (sì, il tratto del disegno e del colore) con il cuore e l’anima”.