Riconosciamo un animale prima ancora di esserne coscienti
Uno studio condotto da ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolari del Cnr di Milano e da Alice Mado Proverbio dell’Università Milano Bicocca, coordinati da Alberto Zani del Cnr, ha dimostrato che il cervello umano distingue gli esseri viventi dagli oggetti in modo rapidissimo e automatico, indipendentemente dalla nostra volontà. La ricerca è stata pubblicata su Biological Psychology
Il cervello umano reagisce più rapidamente alla vista di un animale che di un oggetto e la risposta cerebrale avviene in modo automatico, in uno stadio cioè precedente a quello della coscienza. È quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista “Biological Psycology” e condotto da un team formato da ricercatori dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Milano e da Alice Mado Proverbio, del Milan Center for Neuroscience dell’Università Milano Bicocca.
“Il cervello analizza e discrimina rapidamente gli animali dagli oggetti inanimati, indipendentemente dalla volontà del soggetto o dalle circostanze”, spiega Alberto Zani dell’Ibfm-Cnr, che coordina il gruppo. “Questo comportamento riflette probabilmente meccanismi biologici radicati nel cervello ed evolutisi per rispondere alla necessità di distinguere, in una frazione di secondo, un animale nascosto in un ambiente visivamente complesso o un esemplare inoffensivo da uno pericoloso per l’incolumità umana. Di solito nell’essere umano la vista è guidata dall’attenzione e, se quest’ultima manca, le informazioni sfuggono alla nostra consapevolezza, ma questo processo non riguarda gli animali, ai quali è riservato un sistema di monitoraggio automatico”.
Lo studio ha registrato la velocità di risposta motoria e i potenziali bioelettrici cerebrali (Erp) generati da coppie di immagini statiche di animali, oggetti o di queste categorie assieme (Immagine 1), sottoposte a un gruppo di studenti a cui è stato chiesto di giudicare se esse appartenessero a una stessa categoria o a una diversa. “I risultati evidenziano come gli animali producano una risposta motoria del cervello più veloce (564 millisecondi per gli animali contro 626 per gli oggetti), con un maggiore potenziale bioelettrico nelle aree occipito-temporali e occipito-parietali dell’emisfero destro a partire dai 120-180 ms. Questa prima onda negativa generata nel cervello dei partecipanti dalle diverse immagini, chiamata N1, indica l’intervallo temporale entro il quale la risposta cerebrale è maggiore per le immagini degli animali che per gli oggetti”, prosegue Zani (Immagine 2).
Che il cervello distingua prioritariamente gli animali dagli oggetti era già noto, ma sempre nell’ambito di compiti che richiedevano di discriminare volontariamente i primi dai secondi e uno studio del gruppo Ibfm-Cnr e Bicocca del 2012 aveva riconfermato questa realtà.”Ciò che non era noto è che, anche quando non dobbiamo distinguere volontariamente esseri viventi e non viventi, il nostro cervello lo fa in modo automatico e al di fuori della nostra volontà cosciente, non si sapeva cioè dell’esistenza di regioni e processi specifici per l’elaborazione prioritaria involontaria degli animali nella corteccia visiva”, precisa il ricercatore dell’Ibfm-Cnr. “Molto probabilmente, ciò dipende dal fatto che il cervello coglie le informazioni sensoriali più ‘omomorfe’, caratterizzate da un volto con occhi e bocca e dagli arti, tipiche degli animali, rispetto a quelle con fattezze più squadrate e lineari, quali gli oggetti. Conseguentemente, l’informazione raccolta attraverso la vista e i sensi ha un accesso ‘facilitato’ alla rappresentazione mnemonica delle prime, determinando risposte più veloci che per le seconde”.
“La straordinaria precocità dell’effetto suggerisce come l’immagine degli animali abbia uno status speciale per il nostro cervello che si manifesta fin dalla più tenera età, come dimostra la particolare attrazione che i bambini manifestano per gli animali e per tutto ciò che vi assomigli, da Peppa Pig a Topolino, fino ai peluche”, conclude Proverbio.