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Riflessioni di un cittadino comune sulle mafie fino a parlare di elezioni.

Roma. 15/01/2018
Riceviamo e pubblichiamo.
Roberta Labonia è una ex bancaria di Roma, che ha voluto, con alcune valide e scottanti riflessioni, suggerire ai lettori, un codice comportamentale ed etico, da adottare in occasione delle prossime elezioni, e non solo.

Quando si parla delle mafie in molti di noi riecheggia alla memoria, complice una sorta di patto transgenerazionale della filmografia occidentale che da Francis Coppola arriva fino a Roberto Saviano, lo stereotipo del “Padrino”, l’uomo d’onore siciliano tutto lupara e “famigghia”, fino ai feroci ma non meno stereotipati camorristi di “Gomorra” e neverending serie tv ad essa ispirate.
Una serie di antieroi, che inconsapevolmente abbiamo amato sdoganandoli dal loro peccato originale, spesso hanno contaminato, complice il disagio sociale, i più deboli, i giovani, che li hanno assunti a modello di vita. Ebbene, forse è il caso di mettere i piedi per terra e guardare in faccia la realtà; forse è il caso di spegnere un attimo la tv di “intrattenimento” e documentarsi il minimo necessario (come fa la sottoscritta, che approccia a questi argomenti con l’umiltà del cittadino comune seguendo l’attualità dei nostri tempi), per capire che di lupare, coppole ed antieroi oggi in giro non ne troveremo; in via Montenapoleone a Milano, non ne vedrete e non ne vedrete in via Frattina a Roma o in piazza della Signoria a Firenze, eppure sono anche lì e ci pervadono. Oggi le mafie sono molto di più che organizzazioni criminali dedite al pizzo e all’estorsione come da sempre ce le consegna l’immaginario collettivo; le mafie, ormai da decenni, sono diventate vere e proprie holding d’affari dove trafficano uomini con colletti bianchissimi, impeccabili e profumati. Leggo dall’ultimo rapporto Transcrime sugli investimenti delle mafie, che cosa nostra, ndrangheta, camorra e corona unita, insieme si sono spartite settori di attività e territori in una sorta di “megacartello” del crimine, infiltrandosi nel tessuto sociale e imprenditoriale di tutta Italia. Alle tradizionali regioni dominate dalle organizzazioni mafiose come la Campania, la Calabria, la Sicilia e la Puglia, si sono aggiunti potentissimi insediamenti mafiosi in Lombardia, nel Lazio, in Liguria e in Piemonte. I proventi prodotti dalle loro attività illegali storiche quali la droga, la prostituzione, il traffico d’armi, il gioco d’azzardo, e adesso, in alcuni casi anche l’immigrazione, sono reinvestiti in attività legali come l’edilizia alberghiera e residenziale, la grande distribuzione, la ristorazione, il commercio all’ingrosso e al dettaglio, lo smaltimento dei rifiuti; miriadi di Srl nascono e crescono sotto l’ala protettrice di queste grandi cupole che conseguono così il duplice obiettivo di riciclare il denaro sporco e generare consenso attraverso l’occupazione, forse le uniche che possono incisivamente offrirla in Italia. Ognuno, anche il più onesto di noi potrebbe, a sua insaputa, trovarsi ora a svolgere il ruolo di impiegato, di operaio, di commesso, di cameriere, in un’azienda nata grazie a proventi di stampo mafioso, macchiati dal sangue e dalla sofferenza di eserciti di italiani vittime di usura, estorsioni e non solo.
Ma è opportuno sottolineare, che se tutto questo è potuto accadere è perché le mafie si sono infiltrate in maniera capillare nelle Istituzioni, a partire da quelle locali, complici di avere rilasciato permessi, condoni e assegnato appalti; molti funzionari pubblici sono stati ben “oliati” da mazzette, scambi di favori e per questo diventati merce ricattabile e preziosa per le mafie. Solo con riguardo ai Comuni, dal 1991 al 2017, circa 300 ne sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa e tanti altri ancora rimangono nell’ombra per la lentezza e farraginosità della nostra macchina statale, nel triste podio delle regioni Campania, Calabria e Sicilia e con il grande assente, il comune di Roma, che il processo “Mafia Capitale” ha relegato nel più pudico e timoroso giudizio di “solo” criminale.
Ma le principali ombre ed omissioni gravano sui Governi Nazionali e le loro rappresentanze parlamentari, nessuno escluso. Dopo l’adozione del carcere duro per i mafiosi (41 bis), legiferato sull’onda emotiva delle stragi del ‘92 di Falcone, Borsellino e delle loro scorte, seguite dalle stragi del 93 a Firenze, Roma e Milano, si è verificata una sorta di sostanziale tregua fra mafia e Stato, una sorta di patto di non belligeranza che nell’interminabile processo “trattativa Stato-mafia” ha avuto la sua plastica rappresentazione.
Non c’è nessuno di loro, governanti e parlamentari che può affermare di non conoscere il sottile filo rosso che lega mafia, appalti e pubblica amministrazione. Nessuno di loro può giurare di non conoscere il connubio infame che ha legato le mafie con la massoneria (sempre ben rappresentata nelle sedi istituzionali) e pezzi deviati dello Stato!
Dov’erano questi signori quando sarebbe stato necessario, per combatterle, legiferare e applicare una seria leggi anticorruzione, un nuovo e più stringente codice degli appalti pubblici? Dov’erano quando i ripetuti depotenziamenti della macchina giudiziaria avrebbero invece suggerito una riforma generale della Giustizia che riconsegnasse ai cittadini la certezza della pena e la netta separazione dei poteri fra magistratura e politica? Dov’erano quando più voltedopo averla annunciata, non hanno mai voluto mettere mano ad una vera legge sul conflitto di interessi? Assenti. Oggi registro solo, da semplice cittadina e nel colpevole silenzio cosmico della maggior parte della stampa italiana, che oltre 100 deputati, fra condannati, in attesa di giudizio e indagati, sono seduti sugli scranni più importanti del Paese, anche lì dove si legifera e che l’Italia è ormai stabilmente collocata fra le cenerentole europee in barba alle annunciate crescite omeopatiche del PIL.
E allora, nell’imminenza di questa nuova tornata elettorale che ci consegnerà alla XVIII° legislatura, invito chi avrà avuto la pazienza di leggere questo mio pensiero di cittadina comune e di ascoltare la propria coscienza, a guardare un po’ oltre il personale interesse di bottega, quindi invito a non cedere al maledetto voto di scambio (vero cancro delle recenti elezioni regionali siciliane).
Entro poco tempo nel nostro Paese non ci rimarrà più nulla da arraffare, rimarranno solo debiti di cui rispondere ad un’Europa sempre più matrigna; stiamo divorando lo Stato, ma lo Stato siamo noi, lo Stato sono i nostri figli e i nostri nipoti a cui stiamo negando, consapevolmente, un futuro. Restituiamo loro la dignità di un lavoro stabile che li riconcili col vivere civile e gli consenta di metter su famiglia; sottraiamo manovalanza alle mafie.
Saremo noi, con il nostro voto che possa premiare gente perbene, dal passato specchiato , onesti gestori della cosa pubblica, senza nessuno a cui dover dar conto se non ai cittadini che li avranno votati, i responsabili della tenuta etica e morale del nostro Paese, unico baluardo in grado di contrapporsi efficacemente alle mafie e alla corruzione dilagante. Questo ci consentirà di risalire la china e annientare il malaffare che impera nel nostro Paese. Se non sappiamo scegliere, se ancora una volta voteremo con gli occhi chiusi, o ancor peggio non andremo a votare, affidando ad altri il destino dell’Italia, saremo complici, non vittime.

Roberta Labonia

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