Ieri nel mio ultimo giorno di ferie forzate, nell’attesa dell’ennesimo esame, ho visto in sequenza gli acclamati “Killers of the flower moon” del pluripremiato Martin Scorsese e “C’è ancora domani” dell’esordiente regista Paola Cortellesi. Per questi due film, ho letto recensioni entusiastiche che, non di rado, hanno fatto uso del termine (oramai logorato) “capolavoro”. Pertanto, spinto dalla curiosità e essendo scorsesiano, ho prima visto il lavoro di 3 ore e mezza con DiCaprio e De Niro. Capolavoro? No, per nulla. E chi ha usato questo termine probabilmente non ha visto “Taxi driver”, “Toro scatenato” e “Quei bravi ragazzi”. Il film ricalca il penultimo lavoro di Scorsese, The Irishman, che supera le 3 ore e che ha un andamento lento, senza quel cambio di passo che ci si aspetta. Per carità,, DiCaprio sforna l’ennesima prestazione da fenomeno assoluto, ma è un film che raggiunge la sufficienza e che non mi sognerei mai di perdere un altro pomeriggio per rivederlo. Passiamo all’esordio della Cortellesi, che ha fatto il pieno al botteghino e che è stato lodato anche dai critici più esigenti. Il film non è male, intriga l’idea di usare lo stile neorealistico, con un bianco e nero azzeccato che ci porta a quegli anni. Interessante e fortemente attuale la tematica, affrontata cento volte meglio di quella schifezza di “Barbie”, e straordinaria l’interpretazione della stessa regista e di Mastandrea, nei panni del marito violento. Tuttavia, è anche un film sempliciotto, furbo, che ha dei passaggi a vuoto e che non raggiunge l’obiettivo di celebrare il cinema che fu. Anche in questo caso sufficienza piena. Ma, vi prego, non parlate di capolavori.