Vittoria. “La verità è che sono un’insegnante obsoleta”
Vittoria. 19 febbraio 2021
Maria Paola Patanè è una collega giornalista, ma è anche una docente di scuola superiore. Questa sua riflessione su come vede la scuola oggi, l’ha inviata da docente e noi la pubblichiamo integralmente.
“La risposta, una specie di illuminazione, un’improvvisa quanto definitiva consapevolezza, mi è apparsa chiara e distinta un paio di sere fa, ascoltando le dichiarazioni di Draghi al Senato, e poi leggendo le affermazioni di un certo Gavosto (e chi è costui? ah sì, il presidente della Fondazione Agnelli. E che c’entra la Fondazione Agnelli con la scuola? che ingenua, vero?…), e poi risentendo nelle orecchie gli applausi scroscianti del parlamento, dei media, del paese tutto all’annuncio di quel che la scuola pubblica non è, ma che deve assolutamente diventare: professionalizzante, aziendalista, digitalizzata, concorrenziale, i cui docenti devono essere formati al più presto in questo senso e sottoposti a valutazione per le loro competenze progettuali, tecniche, informatiche, i cui studenti sono materiale da inserire come si deve nel mondo del lavoro, sono “capitale umano” (!!!) da addestrare adeguatamente al fine di diventare ottimi produttori di reddito, di profitti, di PIL, per reggere il confronto con l’Europa e col mondo.
D’accordo, direte voi, non è la prima volta che sentiamo queste cose. Solo che questa volta io le ho avvertite con tutto il loro carico inesorabile di sentenza definitiva, inappellabile. Dalla quale non sarà più possibile tornare indietro.
E allora è successo che tutta l’inquietudine che mi si agitava dentro da anni (dalle tre i della Moratti -inglese, informatica, impresa- ai tagli criminali della Gelmini, alla buona scuola di Renzi), e tutto lo sforzo e la tensione accumulata nel dovermi ogni volta reinventare e mettere al passo con le innovazioni, cercando disperatamente allo stesso tempo di proteggere e salvaguardare il senso del mio lavoro (trasmettere cultura, addestrare al pensiero critico, formare individui coscienti e responsabili), hanno trovato uno sbocco, una foce, una risposta. Diciamolo pure, una resa: mi sono resa conto una volta per tutte di non essere il tipo di insegnante adatto a lavorare nel modello di scuola che si intende realizzare.
Io sono figlia di un modello di scuola troppo diverso da quello che si sta profilando, ed è su quel modello che ho impostato inevitabilmente il mio modo di fare l’insegnante.
Certo, ho imparato anch’io a usare registro elettronico e Lim, ho imparato a integrare le mie lezioni con materiale multimediale, ho imparato a svolgere tipologie di verifiche diverse da quelle classiche, ho digerito con abbondanti dosi di Geffer l’orientamento in entrata e in uscita, l’alternanza scuola-lavoro, i progetti, il PTOF, il RAV, i corsi di formazione, ce l’ho messa tutta e so di esserci riuscita pure bene.
Ma adesso basta, sento di essere arrivata al capolinea, al limite delle mie possibilità.
È evidente a tutti che si sta delineando (e presto si realizzerà) un modello di scuola nella quale il valore degli insegnamenti umanistici, della formazione integrale dell’individuo, dell’empatia, della passione per il sapere finalizzato alla crescita umana e non alla produttività, saranno pari a zero. Una scuola che non richiederà più agli insegnanti di essere preparati nelle loro discipline, empatici, aperti all’ascolto, appassionati e carismatici, perché dovranno essere soprattutto esperti in informatica, in marketing della didattica, in strategie della produzione e del profitto.
E sia. Mi sta bene. Probabilmente è questo che richiede il mondo contemporaneo con le sue dinamiche, non lo so, così ci dicono continuamente.
Io ho solo capito che è giunto il momento di arrendermi. Non ho più la forza di oppormi al corso delle cose e di condurre battaglie solitarie.
Sento con chiarezza che io non potrò, con il bagaglio ideologico che mi porto appresso, contribuire alla costruzione di questo tipo di scuola. Perché non ce la faccio, non ne sono capace.
Se si vuole (e lo si vuole, ormai è acclarato) rifondare il sistema dell’istruzione pubblica in Italia, che si formino i giovani docenti in questo senso. Hanno energie fresche, tanta voglia di fare e soprattutto sono privi di ingombranti zavorre ideologiche ad ostacolarli in questa missione. Solo da loro potete aspettarvi efficienza progettuale, innovazione, digitalizzazione. Non dai docenti sessantenni come me.
Io ho quasi 62 anni e, in relazione al vostro progetto di scuola, sono un’insegnante obsoleta.
Allora vi propongo di scegliere: o mi mandate in pensione subito, col vantaggio di liberarvi di un peso morto che non corrisponderà MAI ai vostri requisiti di docente adeguata alla scuola del futuro (assumendo al mio posto un insegnante giovane funzionale ai vostri obiettivi), oppure per i pochi anni che mi separano dalla pensione mi lasciate in pace a svolgere il mio lavoro nei modi e con le finalità a cui ho sempre creduto e a cui continuerò a credere per sempre”.